Espresso, condanna a pagamento 225 mln
"Sentenza infondata, faremo ricorso"
Il
verdetto si riferisce ad accertamenti dell'Agenzia delle Entrate per l'anno
1991. In precedenti gradi di giudizio, i fatti contestati erano stati
dichiarati insussistenti
Il Gruppo
L'Espresso è stato condannato a pagare 454,7 miliardi di lire, cioè circa 225
milioni di euro, da una sentenza (numero 64/9/2012) della commissione
tributaria regionale di Roma per fatti che risalgono all'inizio degli anni '90.
Si tratta infatti di una pronuncia che riguarda gli accertamenti dell'Agenzia
delle Entrate nei confronti della società risalenti all'esercizio 1991. In
particolare, la commissione ha dichiarato "legittima la ripresa a
tassazione di 440.824.125.000 Lire per plusvalenze, ad avviso della
commissione, realizzate e non dichiarate e di 13.972.000.000 Lire per il
recupero di costi assunti come indeducibili afferenti a dividendi e credito di
imposta, con applicazione delle sanzioni ai minimi di legge e condanna alle
spese di giudizio".
Il Gruppo Espresso rileva che i propri ricorsi contro questi accertamenti erano stati accolti in due precedenti gradi di giudizio e che i fatti contestati erano stati dichiarati insussistenti in sede penale. L'Espresso ritiene la sentenza di oggi "manifestamente infondata oltrechè palesemente illegittima sotto numerosi aspetti di rito e di merito" e confida che sarà annullata. Ha dunque dato mandato ai propri legali per il ricorso in Cassazione, come scrive l'agenzia Radiocor.
Il Gruppo Espresso rileva che i propri ricorsi contro questi accertamenti erano stati accolti in due precedenti gradi di giudizio e che i fatti contestati erano stati dichiarati insussistenti in sede penale. L'Espresso ritiene la sentenza di oggi "manifestamente infondata oltrechè palesemente illegittima sotto numerosi aspetti di rito e di merito" e confida che sarà annullata. Ha dunque dato mandato ai propri legali per il ricorso in Cassazione, come scrive l'agenzia Radiocor.
"La odierna sentenza già a prima vista illegittima sotto numerosi aspetti di rito e di merito, che il Gruppo intende far valere nelle opportune sedi giudiziarie" dichiara all'Ansa l'avvocato del Gruppo Espresso, Livia Salvini dello studio Salvini Escalabar Associati, spiega in una nota le motivazioni che hanno portato il gruppo al ricorso contro la decisione della Commissione Tributaria Regionale di Roma. "A più di venti anni dai fatti contestati, che risalgono al 1991, dopo che già in due gradi di giudizio le Commissioni Tributarie avevano accolto i ricorsi del Gruppo Editoriale L'Espresso, e dopo che in sede penale era stata dichiarata l'insussistenza del fatto, la Commissione Tributaria Regionale di Roma, in sede di rinvio dalla Cassazione, con la sent. n.64/9/12 depositata il 18 maggio u. s. - spiega l'avvocato -, ha dichiarato la parziale legittimità di due accertamenti fiscali riguardanti tra l'altro le complesse vicende societarie che hanno portato alla suddivisione tra Cir e Fininvest del Gruppo Arnoldo Mondadori Editore e alla successiva quotazione in borsa di La Repubblica. I Giudici romani riconoscono, contro la tesi dell'Agenzia delle Entrate, la piena correttezza e legittimità dell'operato de L'Espresso nel trattamento contabile e fiscale delle operazioni relative alle azioni La Repubblica. Essi affermano, tuttavia, che le operazioni societarie avvenute all'interno del Gruppo Editoriale L'Espresso e funzionali alla quotazione in borsa di La Repubblica siano di carattere elusivo, confermando quindi l'applicazione dell'imposta sul reddito alle 'plusvalenze realizzatè nell'ambito di tali operazioni".
"La sentenza in esame si iscrive quindi nel filone giurisprudenziale - continua il legale - che rivendica all'Agenzia delle Entrate e ai giudici il potere di sindacare le scelte economiche e di strategia societaria dei contribuenti.
Potere che lo stesso legislatore sta prevedendo di arginare nell'ambito della delega sulla riforma fiscale, prendendo atto della abnormità di pronunce che, anche sulla base di norme e di orientamenti giurisprudenziali neanche immaginabili quando le operazioni furono progettate e poste in essere, pretendono di disconoscerne i pretesi 'vantaggi fiscali'. Tanto appare evidente dall'esame critico, fatto nella sentenza, delle valide ragioni economiche addotte dal Gruppo a sostegno dell'operazione; ragioni che, sebbene riconosciute vere, non sono state valutate a favore della Società in considerazione del rilevante 'vantaggio fiscalè conseguito. Nè è stato adeguatamente considerato, ad avviso della difesa, il fatto che le operazioni contestate sono state programmate nel 1989, prima dunque che fosse emanata la prima norma antielusiva applicata dalla Commissione, risalente al 1990. Già solo da tale ultima circostanza emerge che la progettazione e la realizzazione dell'operazione di quotazione in borsa, comunque sorretta da valide ragioni economiche e finanziarie, era stata fatta nel pieno rispetto delle norme vigenti. Di ciò era del resto pienamente convinta anche l'autorità giudiziaria penale, che decise il non luogo a procedere poiché il fatto non sussiste.
Alla luce di ciò sembra difficilmente giustificabile sia l'applicazione delle sanzioni amministrative, che è stata invece confermata dalla Commissione, sia l'assolutamente inusuale condanna alle spese processuali nella misura di 500.000 euro, nonostante che l'Agenzia delle Entrate sia risultata soccombente in giudizio su altri importanti punti riguardanti sia l'acquisto delle partecipazioni La Repubblica, sia la pretesa elusività di un'operazione di usufrutto azionario. La odierna sentenza della Commissione Regionale appare dunque già a prima vista illegittima sotto numerosi aspetti di rito e di merito, che il Gruppo intende far valere nelle opportune sedi giudiziarie".
Nessun commento:
Posta un commento