mercoledì 30 maggio 2012

Michele Boldrin e David K.Levine: Abolire la proprietà intellettuale / 3


I frutti dell’albero delle idee

Quando un innovatore ha l’idea di un nuovo prodotto, ne produce delle copie da mettere in vendita: quelle copie dell’idea sono di sua proprietà esattamente come i suoi calzini. La vendita di idee riguarda sempre e solamente le copie: sono solo copie di un’idea che si possono vendere, non l’idea stessa. O vendo oggetti che contengono copie della mia idea (libri, CD, manuali fai-da-te, pantaloni con la vita bassa, gadgets multiuso, quel che sia) oppure insegno la mia idea direttamente ad altre persone, e mi faccio pagare per questa attività, che consiste, alla fin fine, nel produrre copie della mia idea: nel primo le copie stanno negli oggetti, nel secondo nelle menti delle persone a cui ho insegnato. Quando scrivo un libro e ne pubblico 100 mila copie, si tratta di 100 mila copie della mia idea, che io sto cercando di vendere; quando insegno teoria della crescita a una classe di 30 studenti, sono 30 copie delle mie idee sulla teoria della crescita che sto cercando di produrre.
La distinzione che abbiamo appena introdotto fra idea (astratta, invendibile) e copia dell’idea (concreta, vendibile) è forse sottile ma senza dubbio cruciale. Considerate il seguente esempio: se vendo a un’altra persona le mie scarpe, esse non sono più in mio possesso; la vendita delle scarpe implica il trasferimento fisico di qualcosa di materialmente unico in modo che, una volta che vendita e trasferimento si siano compiuti, il possessore originale risulta escluso dalla fruizione di quella cosa. Lo stesso ragionamento vale per un servizio: se acquisto un’ora di massaggio da X, solo io posso usufruire di quella specifica ora di massaggio, mentre ogni altra persona ne viene esclusa. Eppure, se vendo a una persona un’idea (possibilmente facendogliela capire), la mia copia di quell’idea rimane in mio possesso, mentre appare una seconda copia della medesima idea nella testa, o nel computer, o nelle mani del signore a cui l’ho venduta. Una volta effettuata la transazione, io rimango con la mia copia della mia idea e un certo ammontare addizionale di denaro, mentre il signore in questione si ritrova con una nuova copia dell’idea e un po’ di denaro in meno. In un regime di proprietà privata «normale» egli è ora libero di fare ciò che desidera con la copia dell’idea che ha appena acquistato, come io sono libero di fare ciò che più mi aggrada con la copia che ho mantenuto per me. In presenza di un brevetto, invece, quando un inventore vende i diritti di esclusiva di un’idea, ciò che viene smerciato è una copia dell’idea più i diritti (acquisiti dal compratore) di impedire, ora, che l’inventore originale usi la copia di quella (sua) idea che rimane comunque in suo possesso.
In alternativa, quando un inventore dà in licenza l’uso della sua idea, ciò che viene venduto al licenziatario sono soltanto copie dell’idea, mentre i diritti di dire ai proprietari di dette copie cosa farne e cosa non farne rimangono all’inventore originale. Queste osservazioni dovrebbero fare intendere in che senso ciò che viene (erroneamente, a nostro avviso) chiamato proprietà intellettuale contenga un elemento aggiuntivo rispetto alla versione corrente della proprietà privata: la proprietà intellettuale, infatti, contiene anche il diritto di esclusione dall’uso, ossia il diritto di monopolizzare una certa idea (astratta) impedendo ad altri il libero utilizzo delle loro copie. Per questo abbiamo adottato l’espressione «monopolio intellettuale».
In assenza di monopolio intellettuale, una volta che io abbia venduto volontariamente una copia della mia idea ad altri – per esempio una copia di questo meraviglioso libro -, costoro diventano i proprietari di quella copia mentre io serbo la mia idea insieme a tutte le altre copie che ho stampato ma non ancora venduto. Effettuata questa vendita, gli acquirenti possono fare ciò che pare loro più appropriato con le copie della mia idea, nello stesso modo in cui possono fare ciò che pare loro con il tritaghiaccio che avevano comprato ieri da qualcun altro. Senza proprietà intellettuale, in particolare, gli acquirenti di questo libro potrebbero dedicare del tempo e delle risorse per farne delle nuove copie al fine di rivenderle: se ne cambiassero il titolo oppure il nome degli autori o se si lanciassero in qualche inganno fraudolento,  si tratterebbe di plagio, non di violazione della proprietà intellettuale; ma se cambiassero la copertina, la qualità della carta, la fonte dei caratteri, la catena distributiva oppure il medium che divulga il testo originale – o perfino se modificassero il testo, inserendo un chiaro riferimento all’autore originale  - non avrebbero violato alcun diritto di proprietà. In questa maniera, aumenterebbe la concorrenza nel mercato dei libri e delle idee. Ovviamente, mantenendo ferma questa consapevolezza, in un mondo privo di copyright la vendita delle prime copie di un’idea, o di un libro, avverrebbe quasi certamente a un prezzo differente da quello a cui avviene attualmente. 

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