giovedì 24 maggio 2012

Cei, linee guida sulla pedofilia: collaborazione sì, obbligo di denuncia no


Allucinante e vomitevole come la Chiesa, intesa come potere politico, trovi sempre il modo per eludere le proprie responsabilità. Come il senso morale sia qualcosa che ha l’ardire di insegnare agli altri ma di applicare raramente.
Le scappatoie legislative non giustificano ciò che è solo indecenza morale.
A questo punto mi sorge spontanea una considerazione. Sono sempre più in diminuzione le vocazioni sacerdotali, soprattutto in Lombardia. Non certo perché la Chiesa combatte la pedofilia. Anzi. I pedofili sono “tutelati” in seminari, parrocchie, e altre istituzioni ecclesiastiche. Non resta loro che prendere l’abito talare. Un posto sicuro per loro, una crescita delle “vocazioni” sacerdotali per la Chiesa.
Benedetto XVI e uno dei suoi errori: il cardinale Bertone, che ne pensano. Gli piace questa soluzione?


da: La Stampa

Linee guida della Cei sulla pedofilia: cooperare, ma no obbligo di denuncia
Documento dei vescovi sugli abusi nel clero
di Giacomo Galeazzi

Cooperazione con la magistratura, diritto alla difesa e alla riabilitazione, prevenzione nei seminari ma nessuna denuncia obbligatoria dei preti pedofili. Sono entrate in vigore ieri le linee guida della Cei sugli abusi del clero.

Nell’ultimo decennio sono emersi in Italia 135 casi di pedofilia tra i sacerdoti: 77 le denunce formalizzate ai magistrati, 22 le condanne in primo grado, 17 in secondo, 21 i patteggiamenti, 12 le archiviazioni, 5 le assoluzioni. Cifre inferiori ai focolai (Usa, Irlanda)
dell’emergenza provocata da decenni di insabbiamenti e sottovalutazione della crisi. Prima da cardinale poi da Papa, Joseph Ratzinger ha imposto la «tolleranza zero» e costretto alle dimissioni decine di presuli complici o inadeguati. «La peggior persecuzione per la Chiesa è il peccato al suo interno», stigmatizzò il Pontefice in volo verso Fatima.  La legge italiana non lo prevede, perciò i vescovi non sono obbligati a denunciare ai magistrati il sacerdote sospettato di pedofilia.

«Il vescovo non può trasformarsi in un pubblico ufficiale», spiega il numero due della Cei, Mariano Crociata all’Assemblea generale che domani in Vaticano ascolterà il messaggio di Benedetto XVI. In altri paesi come l’Irlanda, pur non essendoci obbligo di legge, l’episcopato ha voluto inserire di propria iniziativa la norma che costringe i presuli a portare alla sbarra i preti pedofili. «Non possiamo chiedere al vescovo di denunciare un prete della sua diocesi in quanto ciò contrasta con l’ordinamento, anche se non gli viene impedito di prendere l’iniziativa e di rivolgersi alla magistratura», precisa Crociata. A patto che il delitto sul minore non sia stato rivelato in confessionale. «Il vescovo tratterà i suoi sacerdoti come un padre e un fratello, curandone la formazione permanente e facendo in modo che essi apprezzino e rispettino la castità e il celibato e approfondiscano la conoscenza della dottrina della Chiesa sull’argomento», raccomanda la Cei. Il Telefono azzurro apprezza «la posizione decisa e concreta della Chiesa nel combattere il fenomeno», ma nei partiti non mancano le polemiche.

«E’ intollerabile affermare che nell’ordinamento italiano il vescovo, non rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale né di incaricato di pubblico servizio, non ha l’obbligo giuridico di denunciare i preti pedofili all’autorità giudiziaria - attacca il Pdci -. Non è accettabile per i singoli e a maggior ragione per la Chiesa la filosofia del “niente sacciu e niente vogghiu sapiri”. Qualsiasi cittadino ha il dovere di denunciare alle autorità competenti qualsiasi reato». Chiara Moroni (Fli) rincara la sose: «Esiste un obbligo morale che impone di denunciare un reato orribile che riguarda bambini indifesi». Le linee-guida contro la pedofilia erano state chieste dalla Santa Sede a tutti gli episcopati mondiali, con una lettera circolare del maggio 2011, successiva allo scoppio dello scandalo nel 2010 e il «giro di vite» della normativa canonica voluta dal Papa. Era proprio il maggio di quest'anno la scadenza e il documento italiano, elaborato nei mesi scorsi e presentato ai vescovi riuniti in questi giorni in Vaticano, ha già fatto «un passaggio informale ma autorevole» all’ex Sant’Uffizio.

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