mercoledì 23 maggio 2012

Nicola Gratteri: “La crisi rafforza la mafia”


da: http://www.lettera43.it/

«La crisi rafforza la mafia»
Gratteri sull'evoluzione della criminalità organizzata.

Erano le 17,58 del 23 maggio 1992 quando sull’autostrada A29, a pochi chilometri di distanza da Palermo, 500 chili di tritolo uccisero Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta. E sembrarono mandare in fumo, per sempre, le speranze di un’Italia libera e pulita, coltivate nella stagione coraggiosa del pool antimafia.
Vent’anni e centinaia di arresti dopo - tra leggi speciali, confische di beni, battaglie in Parlamento e tra le Procure - la morsa della criminalità organizzata sulla vita politica ed economica del Paese sembra non essersi allentata.
«MAFIE PIÙ RICCHE E ARROGANTI». «Le mafie sono più ricche e quindi più arroganti», dice a Lettera43.it Nicola Gratteri, procuratore aggiunto di Reggio Calabria, da due decenni in prima fila nella lotta alla ‘ndrangheta, e dal 1989 sotto scorta. «Molto è stato fatto ma tanto di più si poteva fare», sospira.
IL LEGAME CON LA POLITICA. Come spezzare il connubio tra politica e criminalità organizzata, per esempio. «Oggi sono i politici che vanno a casa dei boss a chiedere i voti non viceversa», spiega invitando a smettere di pensare che le mafie siano solo un fenomeno locale. «C’è ancora qualcuno», sorride amaro, «che dice che a Milano la ‘ndrangheta non esiste».
Ma, soprattutto, occorre adeguare il nostro ordinamento giudiziario alla realtà criminale del Paese. Perché «con questo sistema giudiziario le mafie finiranno quando finirà l’uomo sulla terra».

DOMANDA. Eppure il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso si è detto entusiasta per i risultati raggiunti dal precedente governo Berlusconi in tema di lotta alla mafia.
RISPOSTA. Non so cosa abbia detto esattamente Grasso. So però che il governo Berlusconi ha fatto due cose importanti per la lotta alle mafie:
con il primo decreto sicurezza ha abolito il patteggiamento in appello che era uno scandalo. Poi ha reso possibile il sequestro e quindi la confisca dei beni anche agli eredi del mafioso morto. Altro non ricordo.

D. È sufficiente per assegnare un premio all'ex premier per la lotta alla criminalità?
R. Si poteva fare e si può fare di più per meritare un premio per la lotta alla criminalità.

D. Vent’anni fa le stragi di Capaci e Via D’Amelio. Cosa è cambiato da allora?
R. Le mafie sono diventate più ricche, quindi più arroganti. La ‘ndrangheta in particolare ha quasi totalmente il monopolio dell’importazione di cocaina in Europa. Il suo problema è quello di giustificare la ricchezza non di arricchirsi. E questa grande disponibilità di denaro l’ha resa molto più forte. Soprattutto alla luce di questa crisi finanziaria.

D. Perché?
R. Sono gli unici ad avere grandi capitali in contanti. Le banche per prudenza o mancanza di liquidità non prestano soldi alle imprese e la mafia si è sostituita a loro.

D. La mafia si presenta come creditore.
R. Sì. La ‘ndrangheta in particolare presta denaro a interessi non molto più alti rispetto a quelli degli istituti di credito e così riesce a entrare nella proprietà delle aziende come socio di minoranza. Il passo per rilevare poi completamente un’impresa è breve.

D. Con le banche in crisi di liquidità e costrette a ricapitalizzare è possibile che denaro di provenienza illecita entri anche nel sistema degli istituti di credito?
R. Per quello che sappiamo dalle nostre indagini, che sentiamo dalle intercettazioni dei mafiosi, in Italia il sistema bancario è considerato molto attento. Anche perché c’è una normativa anti-mafia e anti-riciclaggio molto evoluta.

D. Eppure siamo l’unico stato al mondo ad avere quattro mafie.
R. Dal punto di vista normativo siamo attrezzati. Questo però non vuol dire che abbiamo un sistema giudiziario, penale, processuale, detentivo proporzionato alla realtà criminale, tutt’altro.

D. Servono nuove norme?
R. Malgrado tutti gli sforzi che abbiamo fatto in questi anni, gli arresti di latitanti, i sequestri, non stiamo vincendo la partita. Al massimo, la stiamo pareggiando.

D. Com'è possibile vincere la battaglia?
R. Per arrivare al giro di boa, bisogna rivoluzionre il codice di procedura penale e l’ordinamento penitenziario.
Altrimenti continueremo a fare convegni, ma le mafie non le sconfiggeremo mai.

D. Qual è questa rivoluzione copernicana?
R. Intanto, va detto, che se i tribunali fossero delle imprese private domani mattina fallirebbero tutti. Abbiamo un sistema processuale farraginoso, ancora andiamo in udienza con i faldoni, facciamo le notifiche del processo penale con l’ufficiale giudiziario. Solo perché vadano a buon fine mediamente ci vogliono tre mesi.

D. Soluzioni?
R. Informatizzare il codice. Per le notifiche di avvisi di indagine, per esempio, con la posta elettronica certificata dimezzeremmo tempi e costi.

D. Intanto però dai tempi di Falcone e Borsellino le organizzazioni criminali sono diventate più abili.
R. Le mafie si evolvono, come la società, utilizzano gli stessi suoi strumenti, per questo le norme vanno adeguate. Non capisco perché si debba perdere tanto tempo a discutere di leggi inutili che si trasformano in problemi tali da mettere a volte in crisi la tenuta stessa di un governo.

D. A cosa si riferisce?
R. Negli anni passati abbiamo discusso per mesi di processo breve, processo lungo, cercando di far ricadere sulle lungaggini dei tribunali. Non è così. La parola magica è informatizzazione. Certo, avremmo anche bisogno di modifiche serie nella legislazione internazionale: le mafie non sono più un problema italiano come qualcuno continua a sostenere.

D. A chi allude?
R. Mi riferisco a chi si chiede ancora se quella delle mafie nel Nord Italia sia infiltrazione o radicamento. Qualche uomo delle istituzioni negli anni passati ha detto persino che la mafia a Milano non c’è.

D. Il prefetto Lombardi.
R. E infatti s’è visto che non esiste la mafia a Milano. Con le ultime inchieste sono stati arrestati 300 fantasmi.

D. Falcone e Borsellino si tenevano lontani dalla tivù mentre oggi in Italia c’è una magistratura antimafia molto mediatica. Lei stesso si è definito una «soubrette». Non servirebbe più discrezione?
R. Non mi voglio prendere molto sul serio e cerco di stare con i piedi a terra. Definirmi una «soubrette», visto che giro molto per le scuole, è un modo per entrare in connessione con i ragazzi, parlare il loro linguaggio.

D. Crede sia opportuno che un magistrato antimafia partecipi a comizi politici come ha scelto di fare Ingroia?
R. A questa domanda non rispondo. È una cosa delicata, non mi va di alimentare polemiche.  

D. Falcone è morto nell’isolamento e circondato da calunnie. La solitudine è il destino dei magistrati antimafia?
R. Per quello che mi riguarda ho migliaia e migliaia di persone che mi vogliono bene e mi seguono, che vengono ad ascoltarmi, vogliono capire, sapere. Non mi sento solo. Quanto a Falcone, bè, era un fuoriclasse e i fuoriclasse suscitano le invidie dei mediocri.

D. In 20 anni come è cambiato il rapporto tra mafia e politica?
R. Le mafie sono una minoranza, ma una minoranza qualificata. Con il sistema elettorale attuale anche un pacchetto di voti che rispecchi il 10-15% dell’elettorato attivo può determinare la vittoria di un sindaco o di un consigliere comunale. Quindi condizionare il governo della città. Oggi sono i politici che vanno a casa dei mafiosi a chiedere i voti e non viceversa.

D. Come si spezza questo connubio tossico?
R. Intanto il sistema penale, processuale e detentivo, dovrebbe essere proporzionato alla realtà criminale per far sì che non sia conveniente delinquere. Nel lungo periodo poi avremmo bisogno di cambiare le regole elettorali in modo tale che la gente cominci a scegliere i propri candidati.

D. Fini ha proposto di eliminare gli indagati dalle liste elettorali. Il Pd si è speso per aumentare le pene per la corruzione. Sono provvedimenti utili?
R. Mi sembrano piccoli passi rispetto alla vastità del problema dei reati contro la pubblica amministrazione. Non capisco perché in Italia non ci sia la volontà, la forza, la libertà per fare in pochi giorni modifiche strutturali del sistema.

D. Per esempio?
R. Un diverso apparato sanzionatorio. Se ho condannato un amministratore a due anni, pena sospesa, la condanna resta sulla carta, non ha alcun effetto. Se io invece condannassi un sindaco per due anni a fare lavori socialmente utili all’interno del comune dove ha commesso il reato, forse sarebbe più terapeutico non solo per lui ma anche per gli altri.

D. La lezione più bella di Falcone e Borsellino. 
R. Erano persone oneste, pulite. La loro grande virtù è stata la coerenza. 

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