giovedì 31 maggio 2012

Terremoto in Emilia: 3.500 aziende inagibili


da: Il Fatto Quotidiano

"3.500 aziende inagibili". E il terremoto pesa su recessione e fiducia dei mercati
Cgil Emilia Romagna diffonde i primi dati sulle conseguenze del sisma e parla di almeno 20mila lavoratori fermi. Il governo concede la deroga al patto di stabilità. Ma l’impatto del disastro naturale sulla recessione del sistema produttivo nazionale non è ancora chiaro e l’incertezza pesa sui mercati nel breve termine, anche perché sono molti i comparti produttivi bloccati nella quarta regione più ricca d'Italia
di Matteo Cavallitto

Ventimila lavoratori fermi e 14mila posti a rischio, 3.500 aziende crollate o inagibili. Intere filiere al tracollo. I numeri diffusi da Cgil Emilia Romagna tracciano un primo drammatico bilancio dei danni dei due terremoti sul sistema produttivo della regione. Secondo il sindacato, tra i settori maggiormente colpiti dal sisma ci sono la meccanica, l’alimentare, il biomedicale e la ceramica. Coldiretti chiede aiuto all’Europa: “Il danno complessivo supera i 3 miliardi di euro. Ci sono le condizioni per una partecipazione concreta della Ue a sostegno dei territori italiani colpiti dal sisma”, ha detto il presidente dell’organizzazione Sergio Marini. Poche ore prima il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso aveva assicurato il sostegno concreto da parte dell’Europa di fronte alle conseguenze di queste calamità naturali”.
Proprio le aziende agricole delle zone terremotate, nel mese di giugno, avrebbero avuto 150 milioni di euro di tasse in scadenza. Il governo ha scelto di rinviare a settembre. Ed è appunto la proroga dei termini di pagamento a rappresentare uno degli elementi centrali del provvedimento di emergenza approvato dal Consiglio dei ministri, che oggi ha dato l’ok all’attesa deroga del Patto di stabilità per i comuni più colpiti, iniziativa che dovrebbe consentire di giustificare le spese di ricostruzione.
Una decisione in linea con gli auspici del ministro dell’Ambiente Corrado Clini che ieri aveva chiamato in causa proprio questa necessità, appellandosi alla comprensione dell’Ue.
E qui, inevitabilmente, si torna al discorso più generale. Perché da un lato una deroga ai limiti di spesa, per quanto pienamente giustificabile e non necessariamente di enorme entità, rappresenta di per sé un brutto segnale per un mercato già nervoso. Mentre, dall’altro, la certezza che l’intervento in programma possa compensare rapidamente i danni subiti dal sistema ancora non c’è. L’impatto del disastro naturale sulla recessione del sistema produttivo nazionale, in altre parole, non è ancora chiaro e l’incertezza, in un modo o nell’altro, pesa. “I terremoti rappresentano una nuova sfida per Monti e per il suo tentativo di raddrizzare un’economia italiana in recessione che quest’anno potrebbe contrarsi anche dell’1,9%” scrive il Financial Times. Parole, queste ultime, che interpretano un sentimento di preoccupazione già diffuso che l’attuale emergenza può alimentare ulteriormente.
Del resto, con i suoi 135 miliardi di prodotto interno lordo, ha ricordato oggi la Reuters citando gli ultimi dati Eurostat disponibili, l’Emilia Romagna è la quarta regione più ricca d’Italia. Ma anche, verrebbe da aggiungere, uno spaccato di quel sistema produttivo che, grazie a opportuni stimoli, dovrebbe, secondo gli auspici del governo, riattivare prima o poi quel processo di crescita capace di trascinare il Paese fuori dalla recessione. Non stupisce, dunque, che la domanda si sia fatta subito pressante: quanto peseranno le conseguenze del terremoto su un sistema Paese già profondamente scosso dalla crisi? Le stime, ovviamente, non sono ancora disponibili. Ma i primi dati sono già inquietanti. 
Oggi, intanto, il Tesoro ha collocato Btp a 5 e 10 anni per un controvalore di 5,7 miliardi di euro, a metà strada circa tra le previsione iniziale compresa tra un minimo di 4,5 e un massimo di 6,25 miliardi. L’asta è andata piuttosto male: i rendimenti dei titoli a 10 anni sono saliti al 6,03% contro il 5,84 di fine aprile. I quinquennali sono passati dal 4,86 al 5,66% senza per questo andare propriamente a ruba (il Bid-to-cover, il rapporto tra domanda e offerta, si attestato all’1,352). Lo spread con i decennali tedeschi, intanto, ha superato quota 460 punti ma il dato è ovviamente condizionato dalla contemporanea caduta dei tassi sui titoli di Berlino che sul mercato secondario aggiornano il minimo storico a quota 1,32%. A preoccupare, semmai, è un altro spread tutto di casa nostra, quello tra quinquennali e decennali. La differenza di rendimento tra i Btp a 5 e 10 anni si riduce sempre di più, identificando quell’appiattimento della curva che da sempre preoccupa gli analisti. Tradotto, la percezione del rischio di medio periodo aumenta di più in proporzione a quella di lungo. Non possiamo parlare di “effetto terremoto”, ma certo la crescente tensione sui mercati potrebbe rendere gli investitori ancora più sensibili di fronte a eventuali revisioni al ribasso sul Pil italiano per il 2012.

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