da: Il Fatto
Quotidiano
La musica? Fuori dall’Italia
di Marco Pipitone
Conoscete Spotify? Un programma “multipiattaforma” che consente di ascoltare gratuitamente – in streaming – le canzoni in tempo reale.
Tanti saluti all’acquisto dei dischi e alle belle intenzioni: il futuro della
musica se non si è ancora capito comincia da qui.
Perché spendere
soldi quando è possibile ascoltare “la qualunque” in ogni momento, senza spendere
nulla? La rivoluzione è in atto e questa volta include le case discografiche, le quali da
un paio d’anni flirtano amabilmente con il software svedese.
Il programma è realmente rivoluzionario
poiché oltre a sovvertire le tradizioni s’impone
come alternativa reale alla pirateria. Spotify è attivo in gran parte
dell’Europa e del pianeta, tanto che Mark Zuckerberg ne ha annunciato – da
tempo – l’ integrazione con Facebook.
Non tutto è oro
però quello che luccica. Le speculazioni
sul ruolo e il futuro della piattaforma si sprecano; i detrattori
sostengono che l’industria musicale verrà in tal modo depauperata della propria
condizione vitale, ovvero la vendita di cd/download digitali. Esiste inoltre la
questione legata alle royalties: le case discografiche e ancor più gli artisti, lamentano introiti troppo bassi. Tutto ciò sarà
pur vero ma le band che non vogliono aderire al servizio si contano sulle dita
di una mano; forse perché “appartenere” in questo preciso momento storico è più
importante che “ottenere”? Cari
musicisti, siete davvero così convinti che nel 2012 si possano ancora fare soldi facendo le rock star? L’epoca in cui ci si arricchiva con i dischi è definitivamente sorpassata! Per
sopravvivere – al giorno d’oggi – occorre regolarsi tramite i concerti, unica
fonte sicura alla quale attingere.
Spotify esiste in più versioni: la free è
vincolata all’inserimento di spot
pubblicitari tra un brano e l’altro e ad un numero preciso di mega byte
scaricabili mensilmente (come il 3G per le compagnie telefoniche); la versione
a pagamento – oltre ad evitare la pubblicità – permette
di usufruire dell’intero catalogo in
modalità off line, quindi senza rete, con scarico di mega byte illimitato.
La domanda – a
questo punto – sorge spontanea: “Ma
in Italia il servizio funziona”? Ovviamente no! Spotify – perlomeno
ufficialmente – non è attivo. Avevate dubbi? Restare ancorati a principi
desueti è la realtà alla quale siamo sempre più sottomessi; negli Stati Uniti e nel resto d’Europa è l’argomento del giorno mentre nel nostro paese, si
organizzano ancora sit-in virtuali ad
opera di artisti (ma anche di blogger come il sottoscritto)
contro la pirateria musicale. L’ammirevole intento suscita tenerezza, se
rapportato a ciò che accade nel mondo e riflette soprattutto una situazione non
al passo con i tempi. Inutile e forviante parlare del downloading illegale se il progresso e la tecnologia spingono in
altre direzioni e tutte verso possibili soluzioni.
Il definitivo
shock culturale dovuto a Spotify sta nella reale possibilità di sconfiggere –
come già detto – la pirateria. Conti alla mano, dal 2009 (la data del lancio
di programma in Svezia), il file sharing illegale è diminuito del 25 per cento, una
percentuale significativa.
Sono tante le cose
da dire e spotify non è l’unico servizio di questo tipo, ne
esistono altri, ognuno con caratteristiche simili, anche se il sito
svedese è certamente quello di riferimento.
Raccontare con
precisione l’eventuale “rivoluzione” non è ad oggi possibile, in quanto mancano
i riscontri che, per queste pagine, sarebbero più chiari se anche l’Italia si
adeguasse a ciò che musicalmente/tecnologicamente succede nel resto del globo.
Resta in sospeso
un altro interrogativo: ”Esistono le
condizioni affinchè il futuro della musica possa prima o dopo investire la nostra penisola”?
Secondo me no.
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