Campania, profondo rosso
La Regione ha un debito da 13 miliardi di euro.
Chiuse 1.515 imprese nei primi tre mesi del 2012. E la protesta insorge
di Enzo Ciaccio
Per Federico
Libertino, segretario della Cgil, a Napoli e in Campania il governo «deve
impegnarsi subito per garantire investimenti e lavoro di fronte a una crisi
della cui gravità ci si rende conto guardando negli occhi spaventati dei
giovani e dei loro genitori. Li incontro ogni giorno: so che sono abituati a
stringere la cinghia ma mi accorgo che oggi, tartassati da logiche ingiuste, ne
hanno quasi smarrito il senso».
Napoli a un passo
dal default: per il sindacato trattasi di «un’emergenza nazionale, connotata da
un sistema industriale desertificato, un giovane su due senza lavoro e tanti
altri che hanno perso ogni speranza».
Ma a rilanciare a
voce più alta l’allarme, stavolta, non sono i sindacati o qualche politico a
caccia di ribalta: a protestare è il governatore della Campania, il socialista
del Popolo della libertà (Pdl) Stefano Caldoro, di solito assai pacato nei
toni.
UN DEBITO DA 13 MILIARDI DI EURO. «La crisi è
durissima. Il debito accumulato dalla Regione ammonta a 13 miliardi di euro»,
ha fatto sapere Caldoro, «i fornitori vengono pagati dopo attese fino a 250
giorni e oltre».
Le imprese sono
creditrici con la Regione per 7 miliardi di euro.
Il debito è
cresciuto al ritmo di 670 milioni l’anno. «Perciò», ha concluso il governatore,
«o tutti, dai partiti ai sindacati, dagli imprenditori alla società civile,
lanciamo una mobilitazione senza precedenti nei confronti del governo di Mario
Monti o qui si finisce dritti in bancarotta».
I dati statistici
danno ragione all’ansia di Caldoro: «Il tasso di disoccupazione a Napoli è pari
al 17,8%, cioè al doppio della media nazionale. E le ore di cassa integrazione
in Campania», fa sapere Maurizio Maddaloni, presidente della Camera di
commercio, «sono passate dai 7,6 milioni del 2008 ai 28,9 milioni del 2011. È
accertato che almeno 14 famiglie su 100 si rivolgono agli usurai per far fronte
alle difficoltà economiche».
Nei primi tre mesi
del 2012, la Campania ha perso 1.515 imprese
L’associazione Sos
Impresa ha assicurato che sono 357 mila le attività sparite negli ultimi 10
anni, di cui 100 mila per colpa degli usurai. Nel 2011, due imprese su tre
hanno dichiarato di aver ridotto la produzione.
Nei primi tre mesi del 2012, la Campania ha perso 1.515 imprese (dato UnionCamere), molte nel settore della Sanità che versa in condizioni disastrose.
Nei primi tre mesi del 2012, la Campania ha perso 1.515 imprese (dato UnionCamere), molte nel settore della Sanità che versa in condizioni disastrose.
OGNI ANNO 140 MILA RICOVERI INUTILI. Servizi
assistenziali pessimi, licenziamenti, sprechi: un recente dossier della Cisl
campana ha reso noto che in un anno in regione si registrano 140 mila ricoveri
“impropri”, cioè inutili, e che ogni giornata di ricovero “in acuto”, cioè in
emergenza, costa 700 euro.
Spiega a Lettera43.it Massimo Brancato, responsabile nazionale Fiom per il Mezzogiorno: «A Napoli le grandi industrie insediate con le politiche dell’intervento straordinario stanno ridimensionando la presenza. Il tessuto che forma l’indotto è costituito da aziende alla dipendenza di un solo committente: con la crisi, si scoprono senza difese».
Spiega a Lettera43.it Massimo Brancato, responsabile nazionale Fiom per il Mezzogiorno: «A Napoli le grandi industrie insediate con le politiche dell’intervento straordinario stanno ridimensionando la presenza. Il tessuto che forma l’indotto è costituito da aziende alla dipendenza di un solo committente: con la crisi, si scoprono senza difese».
SETTORE METALMECCANICO IN CRISI. E, tranne il
settore di produzione militare, aggiunge Brancato, «qui è tutto in sofferenza:
dall’indotto Fiat a quello dell’Ansaldo Breda. Nel settore elettrodomestici
viviamo il paradosso Whirpool, un progetto di sviluppo da 1000 posti di lavoro
cofinanziato da governo e Regione Campania che è fermo perché quest'ultima ha
bloccato il contributo».
In crisi anche
l'Ansaldo Breda (con il tentativo di dismettere le attività civili), l'Alenia
con la chiusura della sede di Casoria, e Fincantieri, che mantiene
Castellammare (caso unico in Italia) privo di una mission produttiva.
Insomma, l’industria metalmeccanica, che rappresenta quasi il 60% dell’apparato
produttivo napoletano, vacilla paurosamente.
Libertino (Cgil):
«Forme inusuali di protesta collegate alla difficoltà di farsi ascoltare»
Smarrimento,
paura, tentativo spasmodico di attirare l’attenzione dei mass media: la
protesta sociale trova a Napoli e dintorni forme di espressione sempre più
drastiche e inusuali.
I lavoratori della
Simmi di Acerra hanno appeso un manichino al tetto dello stabilimento. Sei
lavoratori della cooperativa “Vesuvio, natura e lavoro” sono accampati
all’interno del cratere del Vesuvio, esposti al freddo e alle intemperie,
chiedendo di riprendere a lavorare. E ancora: un gruppo di disoccupati del
progetto Bros, negli anni scorsi impegnati in alcuni corsi professionali rimasi
senza sbocco, si è arrampicato sull’altissima gru che domina il cantiere della
metropolitana in piazza del municipio a Napoli.
È stato esposto
uno striscione su cui c’è scritto: «Mo’ basta, 15 anni possono bastare, i
precari Bros a lavorare». Promesse mancate, illusioni, rabbia e rancori.
DALL'ANSALDO ALLA FIAT. In
subbuglio, anche i 23 tecnici che curano la manutenzione degli impianti di
Ansaldo Breda, la Simav, che produce anche cablaggi e schermi di aerazione per
treni.
A chiudere sono perfino i call center che forniscono informazioni sui trenini locali della Cumana e della Circumvesuviana: in 50 targati Sit hanno perduto il lavoro.
A chiudere sono perfino i call center che forniscono informazioni sui trenini locali della Cumana e della Circumvesuviana: in 50 targati Sit hanno perduto il lavoro.
Trenta piccoli
imprenditori hanno scritto una lettera al presidente Giorgio Napolitano: «Le
banche non danno credito», ha spiegato la portavoce, Rita Colonna, «i Comuni
non pagano, la malavita ci assilla: presidente, per carità ci aiuti lei».
Un gruppo di mogli
degli operai Fiat di Pomigliano, rivolgendosi alle donne di Termini Imerese, ha
scritto invece: «Basta con le lettere di supplica ai politici o al papa, volete
capirlo o no che il lavoro dei nostri mariti si difende solo scendendo in
piazza a protestare?».
PRESSIONE FISCALE ALTISSIMA. E la ricerca
di forme inusuali di protesta, spiega aLettera43.it Federico Libertino,
segretario Cgil, «è collegata alla crescente difficoltà di farsi ascoltare di
chi soffre. Non ho mai visto una crisi così grave: la pressione fiscale è
diventata insopportabile per i più deboli. I giovani fuggono, c’è urgente
bisogno di investimenti per la crescita».
E aggiunge: «Penso
seriamente a una tassa patrimoniale che finalmente faccia pagare chi in Italia
non ha mai compiuto sacrifici: i soldi ricavati diventino un fondo per
l’occupazione dei giovani. Il governo apra un tavolo per interventi su Napoli
perché è qui che si concentrano i disagi più profondi e diffusi».
E il segretario Cgil continua: «Si allenti il Patto di stabilità, per rilanciare l’economia. Si faccia presto, perché qui siamo davvero a un passo dalla rottura sociale: bisogna evitare che si saldino troppe tensioni e che la criminalità, l’unico soggetto in possesso di capitali, diventi padrona di tutto». L’appuntamento è a Roma per il 2 giugno 2012, festa della Repubblica: «Sì», conclude Libertino, «la nostra Repubblica fondata sul lavoro».
E il segretario Cgil continua: «Si allenti il Patto di stabilità, per rilanciare l’economia. Si faccia presto, perché qui siamo davvero a un passo dalla rottura sociale: bisogna evitare che si saldino troppe tensioni e che la criminalità, l’unico soggetto in possesso di capitali, diventi padrona di tutto». L’appuntamento è a Roma per il 2 giugno 2012, festa della Repubblica: «Sì», conclude Libertino, «la nostra Repubblica fondata sul lavoro».
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