mercoledì 23 maggio 2012

Regione Campania: debito da 13 miliardi, chiuse 1.5151 imprese in tre mesi



Campania, profondo rosso
La Regione ha un debito da 13 miliardi di euro. Chiuse 1.515 imprese nei primi tre mesi del 2012. E la protesta insorge
di Enzo Ciaccio

Per Federico Libertino, segretario della Cgil, a Napoli e in Campania il governo «deve impegnarsi subito per garantire investimenti e lavoro di fronte a una crisi della cui gravità ci si rende conto guardando negli occhi spaventati dei giovani e dei loro genitori. Li incontro ogni giorno: so che sono abituati a stringere la cinghia ma mi accorgo che oggi, tartassati da logiche ingiuste, ne hanno quasi smarrito il senso».
Napoli a un passo dal default: per il sindacato trattasi di «un’emergenza nazionale, connotata da un sistema industriale desertificato, un giovane su due senza lavoro e tanti altri che hanno perso ogni speranza».
Ma a rilanciare a voce più alta l’allarme, stavolta, non sono i sindacati o qualche politico a caccia di ribalta: a protestare è il governatore della Campania, il socialista del Popolo della libertà (Pdl) Stefano Caldoro, di solito assai pacato nei toni.
UN DEBITO DA 13 MILIARDI DI EURO. «La crisi è durissima. Il debito accumulato dalla Regione ammonta a 13 miliardi di euro», ha fatto sapere Caldoro, «i fornitori vengono pagati dopo attese fino a 250 giorni e oltre».
Le imprese sono creditrici con la Regione per 7 miliardi di euro.
Il debito è cresciuto al ritmo di 670 milioni l’anno. «Perciò», ha concluso il governatore, «o tutti, dai partiti ai sindacati, dagli imprenditori alla società civile,
lanciamo una mobilitazione senza precedenti nei confronti del governo di Mario Monti o qui si finisce dritti in bancarotta».
I dati statistici danno ragione all’ansia di Caldoro: «Il tasso di disoccupazione a Napoli è pari al 17,8%, cioè al doppio della media nazionale. E le ore di cassa integrazione in Campania», fa sapere Maurizio Maddaloni, presidente della Camera di commercio, «sono passate dai 7,6 milioni del 2008 ai 28,9 milioni del 2011. È accertato che almeno 14 famiglie su 100 si rivolgono agli usurai per far fronte alle difficoltà economiche».
Nei primi tre mesi del 2012, la Campania ha perso 1.515 imprese
L’associazione Sos Impresa ha assicurato che sono 357 mila le attività sparite negli ultimi 10 anni, di cui 100 mila per colpa degli usurai. Nel 2011, due imprese su tre hanno dichiarato di aver ridotto la produzione.
Nei primi tre mesi del 2012, la Campania ha perso 1.515 imprese (dato UnionCamere), molte nel settore della Sanità che versa in condizioni disastrose.
OGNI ANNO 140 MILA RICOVERI INUTILI. Servizi assistenziali pessimi, licenziamenti, sprechi: un recente dossier della Cisl campana ha reso noto che in un anno in regione si registrano 140 mila ricoveri “impropri”, cioè inutili, e che ogni giornata di ricovero “in acuto”, cioè in emergenza, costa 700 euro.
Spiega a Lettera43.it Massimo Brancato, responsabile nazionale Fiom per il Mezzogiorno: «A Napoli le grandi industrie insediate con le politiche dell’intervento straordinario stanno ridimensionando la presenza. Il tessuto che forma l’indotto è costituito da aziende alla dipendenza di un solo committente: con la crisi, si scoprono senza difese».
SETTORE METALMECCANICO IN CRISI. E, tranne il settore di produzione militare, aggiunge Brancato, «qui è tutto in sofferenza: dall’indotto Fiat a quello dell’Ansaldo Breda. Nel settore elettrodomestici viviamo il paradosso Whirpool, un progetto di sviluppo da 1000 posti di lavoro cofinanziato da governo e Regione Campania che è fermo perché quest'ultima ha bloccato il contributo».
In crisi anche l'Ansaldo Breda (con il tentativo di dismettere le attività civili), l'Alenia con la chiusura della sede di Casoria, e Fincantieri, che mantiene Castellammare (caso unico in Italia) privo di una mission produttiva. Insomma, l’industria metalmeccanica, che rappresenta quasi il 60% dell’apparato produttivo napoletano, vacilla paurosamente.
Libertino (Cgil): «Forme inusuali di protesta collegate alla difficoltà di farsi ascoltare»

Smarrimento, paura, tentativo spasmodico di attirare l’attenzione dei mass media: la protesta sociale trova a Napoli e dintorni forme di espressione sempre più drastiche e inusuali.
I lavoratori della Simmi di Acerra hanno appeso un manichino al tetto dello stabilimento. Sei lavoratori della cooperativa “Vesuvio, natura e lavoro” sono accampati all’interno del cratere del Vesuvio, esposti al freddo e alle intemperie, chiedendo di riprendere a lavorare. E ancora: un gruppo di disoccupati del progetto Bros, negli anni scorsi impegnati in alcuni corsi professionali rimasi senza sbocco, si è arrampicato sull’altissima gru che domina il cantiere della metropolitana in piazza del municipio a Napoli.
È stato esposto uno striscione su cui c’è scritto: «Mo’ basta, 15 anni possono bastare, i precari Bros a lavorare». Promesse mancate, illusioni, rabbia e rancori.
DALL'ANSALDO ALLA FIAT. In subbuglio, anche i 23 tecnici che curano la manutenzione degli impianti di Ansaldo Breda, la Simav, che produce anche cablaggi e schermi di aerazione per treni.
A chiudere sono perfino i call center che forniscono informazioni sui trenini locali della Cumana e della Circumvesuviana: in 50 targati Sit hanno perduto il lavoro.
Trenta piccoli imprenditori hanno scritto una lettera al presidente Giorgio Napolitano: «Le banche non danno credito», ha spiegato la portavoce, Rita Colonna, «i Comuni non pagano, la malavita ci assilla: presidente, per carità ci aiuti lei».
Un gruppo di mogli degli operai Fiat di Pomigliano, rivolgendosi alle donne di Termini Imerese, ha scritto invece: «Basta con le lettere di supplica ai politici o al papa, volete capirlo o no che il lavoro dei nostri mariti si difende solo scendendo in piazza a protestare?».
PRESSIONE FISCALE ALTISSIMA. E la ricerca di forme inusuali di protesta, spiega aLettera43.it Federico Libertino, segretario Cgil, «è collegata alla crescente difficoltà di farsi ascoltare di chi soffre. Non ho mai visto una crisi così grave: la pressione fiscale è diventata insopportabile per i più deboli. I giovani fuggono, c’è urgente bisogno di investimenti per la crescita».
E aggiunge: «Penso seriamente a una tassa patrimoniale che finalmente faccia pagare chi in Italia non ha mai compiuto sacrifici: i soldi ricavati diventino un fondo per l’occupazione dei giovani. Il governo apra un tavolo per interventi su Napoli perché è qui che si concentrano i disagi più profondi e diffusi».
E il segretario Cgil continua: «Si allenti il Patto di stabilità, per rilanciare l’economia. Si faccia presto, perché qui siamo davvero a un passo dalla rottura sociale: bisogna evitare che si saldino troppe tensioni e che la criminalità, l’unico soggetto in possesso di capitali, diventi padrona di tutto». L’appuntamento è a Roma per il 2 giugno 2012, festa della Repubblica: «Sì», conclude Libertino, «la nostra Repubblica fondata sul lavoro».
 

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