Il modello di business creato dai
copyright non solo è inefficiente e ingiusto, è anche corrotto. Naturalmente,
ogni industria vive i suoi scandali, e le imprese che operano nei mercati
concorrenziali non sono esattamente gestite da angeli. Il fatto è, però, che il
potere dei monopoli fa nascere brutte abitudini, e da nessuna parte più che
nell’industria musicale la corruzione è diventata essenziale ed endemica.
Probabilmente, se vivete in Italia, non avrete sentito quasi mai il termine payola,
che è invece ben noto negli Stati Uniti, e proviene dalla contrazione delle
parole pay (pagare) e Victrola (nomignolo affibbiato alle
prime radio dalla RCA Victor). Payola si
riferisce al tradizionale pagamento in denaro, o ai doni, dati in cambio della
trasmissione di selezioni musicali alla radio. Il primo caso di payola portato in tribunale risale al
maggio 1960, quando il disk jockey Alan Freed venne accusato di aver accettato
2.500 dollari per trasmettere certe canzoni: fu multato e rilasciato.
Quarantacinque anni dopo, la storia non è più fatta di piccoli disk jockey
radiofonici e di multe simboliche: il 26 luglio 2005 l’avvocato generale di New
Yoork Eliot Spitzer – lo stesso che divenne poi governatore dello Stato di New
York e che, poco tempo dopo, dovette dimettersi dalla sera alla mattina perché
scoperto a frequentare prostitute, pur negandolo: ecco un uomo che deve aver
rimpianto di non aver scelto di fare politica in Italia… - accusò la Sony BMG di corrompere sistematicamente le stazioni
radiofoniche affinchè trasmettano le
canzoni che la stessa voleva lanciare. La
Sony BMG, stando a quanto abbiamo visto, ha acconsentito a pagare una multa di
dieci milioni di dollari.
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