lunedì 21 maggio 2012

Attentato a Brindisi: ‘Quei quaderni bruciati sull’asfalto’


da: la Repubblica 

Quei quaderni bruciati sull'asfalto
di Francesco Merlo

L' unica cosa viva è la ragazza morta in questo Medioriente che ci arriva in casa. Anche le bombole di gas sono l´esplosivo del disperato, l´estetica dei palazzi è da geometra, il paesaggio è la periferia di un Meridione remoto, «il sud del sud dei santi» lo chiamava Carmelo Bene che vi era nato e cresciuto.
E nella folla c´è una telegenica, crudele familiarità col dolore, la collera scontata nel canovaccio dei cori dell´Italia meridionale: « E adesso ammazzateci tutti». Solo i resti per terra sono una semina della modernità: lo zainetto, il quaderno e la scarpa da tennis diventano didascalia e album, dettagli che raccontano e documentano l´eguaglianza dei diversi. Tutte le ragazze del mondo infatti, in Inghilterra come in Pakistan, a Milano come a Brindisi indossano gli stessi abiti, annotano gli stessi diari, fanno della fantasia e della creatività una stessa divisa, anche se gli orizzonti e il destino raramente si somigliano. Li avessimo visti sparpagliati per terra senza sapere nulla della bomba, questi frammenti di scuola e questi brandelli di eleganze ci avrebbero comunque procurato un pò dell´angoscia e della rabbia che proviamo adesso.
La scarpa da tennis numero 36, per esempio, che è il simbolo internazionale della gioventù, della disinvoltura e dell´andare per strada senza fermarsi mai, ora nello spazio che sta davanti alla scuola è un relitto, è il naufragio della vita, è la fine dell´innocenza. E al primo sguardo fanno tenerezza il quaderno bruciacchiato e il diario squadernato, ma poi ti monta dentro un bisogno di giustizia o meglio ancora di spietata vendetta per quei capelli, per l´anello, per la borsa di plastica e per quel foglio d´agenda che vola via. E anche noi come Borges «vediamo gli odori»,
gli odori di carne bruciata: li «vediamo» perché come lui siamo diventati ciechi e nessuno capisce nulla. Tutte le congetture franano: la mafia, il terrorismo, gli albanesi, i greci, la follia, la passione e c´è ovviamente la retorica che si affaccia qua e là, ma anche quella è un rifugio di vita.
E in quei pezzi di plastica esplosa, in quella giacchetta stropicciata, annerita e bucata c´è la paura che possa accadere ancora, in qualsiasi altro angolo d´Italia: la morte come contagio. Ed è inutile cercare una trama, un tracciato da percorrere con la matita, dagli astucci ai cerchietti per i capelli, dalle cinture alle scatolette piene di rossetti e forbicine. C´è persino una pomata antiacne, e poi forcine, fazzoletti di carta, panini imbottiti, caramelle e, nel mezzo, la silhouette con quel bianco definitivo che la polizia usa per disegnare i confini dell´assenza. Per terra non c´è la geografia di una fatalità ma di un crimine, c´è l´incubo degli anni di piombo, quelli degli agguati e delle bombe.
E anche i fischi ai politici e al vescovo per una volta sono fuori luogo. Tutto il rituale funebre e la messa in scena collettiva diventano ostacolo alla ragione e intralcio autoassolutorio dinanzi alla morte di una sedicenne. Al posto dei lumini e dei fiori qui ci vuole l´intelligenza dei reparti speciali e della scientifica, il ritorno e la forza dello Stato. Ma diciamo la verità, nessuno può rimettere in ordine queste atroci rimanenze sull´asfalto. E nessuno potrà mai risarcire le famiglie, la città e lo sguardo di chi ha visto, il nostro sguardo oltraggiato. Oggi anche la scrittura più sincera è retorica, e anche le mie parole sono diventate cieche.

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