da: la Repubblica
La mediazione via sms all’interno del Partito Democratico, di cui ha dato conto questo giornale sabato scorso con il testo dei messaggini fra Matteo Renzi e Sergio Chiamparino, rischia di rendere il Jobs Act del tutto inefficace nell’incoraggiare incrementi di produttività e più assunzioni con contratti a tempo indeterminato.
Speriamo che, mettendo da parte i
cellulari, e affrontando il merito dei problemi, vi si ponga rimedio.
La direzione Pd lunedì ha approvato a larga maggioranza, non prima di deflagranti polemiche e minacce di scissione, un ordine del giorno che mantiene in vigore, fin dal primo giorno di vita di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la reintegrazione del lavoratore in caso “di licenziamenti ingiustificati di natura disciplinare, previa qualificazione specifica della fattispecie”. Questo significa che i licenziamenti individuali continueranno a essere fin da subito molto costosi, trattando un neo-assunto come un lavoratore già presente da 20 anni nell’azienda. In barba a quelle “tutele crescenti con l’azienda aziendale” cui fa esplicitamente riferimento l’emendamento governativo al disegno di legge delega recentemente approvato dalla Commissione Lavoro al Senato. Vediamo di capire perché.
La direzione Pd lunedì ha approvato a larga maggioranza, non prima di deflagranti polemiche e minacce di scissione, un ordine del giorno che mantiene in vigore, fin dal primo giorno di vita di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la reintegrazione del lavoratore in caso “di licenziamenti ingiustificati di natura disciplinare, previa qualificazione specifica della fattispecie”. Questo significa che i licenziamenti individuali continueranno a essere fin da subito molto costosi, trattando un neo-assunto come un lavoratore già presente da 20 anni nell’azienda. In barba a quelle “tutele crescenti con l’azienda aziendale” cui fa esplicitamente riferimento l’emendamento governativo al disegno di legge delega recentemente approvato dalla Commissione Lavoro al Senato. Vediamo di capire perché.
Oggi
un datore di lavoro che volesse licenziare un dipendente può
addurre sia ragioni di natura
disciplinare (legate al comportamento del lavoratore) che economica (legate
alla performance dell’impresa). Se il giudice ritiene che queste
motivazioni siano infondate (si parla di “manifesta insussistenza” nel caso di
licenziamenti economici), può imporre la reintegrazione
del lavoratore. Si vuole ora mantenere questa possibilità per i soli licenziamenti disciplinari. Ma il confine fra licenziamenti economici e
licenziamenti disciplinari è molto sottile. I datori di lavoro avranno,
nel caso in cui questa modifica entrasse in vigore, l’incentivo a perseguire solo la strada dei licenziamenti
economici, anche nel caso di comportamenti opportunistici di un proprio
dipendente, dato che, almeno sulla carta, i licenziamenti economici costano
di meno dei licenziamenti disciplinari.
Mentre un lavoratore licenziato per ragioni
economiche potrà sempre far valere davanti al giudice il fatto che l’azienda
volesse in realtà punirlo per il proprio comportamento. In questo caso, anche
se il difetto del lavoratore fosse documentabile, ma l’impresa avesse altri
modi di “punire” il lavoratore senza licenziarlo (ad esempio cambiando gli
orari di lavoro), il giudice potrà imporre all’azienda il reintegro del
dipendente. Si tratta perciò di una modifica marginale, del tipo di quella
imposta dalla Legge Fornero con il principio della “manifesta insussistenza”,
che viene peraltro in questo caso introdotta solo per i nuovi assunti, mentre
la legge Fornero cambiava le regole per tutti i lavoratori.
Per quanto il legislatore possa definire
con precisione i licenziamenti disciplinari (“la qualificazione specifica della
fattispecie” cui fa riferimento il testo approvato lunedì), con questa
mediazione si crea una forte asimmetria fra licenziamenti illegittimi di
diversa natura, aprendo lo spazio al contenzioso.
Nei paesi
Ocse, la norma è quella di trattare tutti i licenziamenti illegittimi
allo stesso modo, indipendentemente dalle ragioni inizialmente addotte
dalle imprese. Da noi, invece, si mettono paradossalmente in una posizione di
vantaggio i lavoratori coinvolti in un procedimento disciplinare rispetto a
quelli coinvolti in una crisi aziendale di cui non hanno colpa alcuna. Se il
licenziamento viene considerato legittimo, non riceveranno nulla come pure i
lavoratori che hanno perso il lavoro per motivi economici.
Se, invece, il licenziamento venisse considerato dal giudice senza giusta causa, il lavoratore licenziato per questioni disciplinari potrà essere reintegrato sul posto di lavoro, a differenza di chi ha avuto la sfortuna di trovarsi in un’azienda in crisi. Gli incentivi sono perversi: per aumentare la produttività bisognerebbe proprio scoraggiare i comportamenti opportunistici.
Se, invece, il licenziamento venisse considerato dal giudice senza giusta causa, il lavoratore licenziato per questioni disciplinari potrà essere reintegrato sul posto di lavoro, a differenza di chi ha avuto la sfortuna di trovarsi in un’azienda in crisi. Gli incentivi sono perversi: per aumentare la produttività bisognerebbe proprio scoraggiare i comportamenti opportunistici.
A chi oggi deve creare lavoro in Italia importano due cose. Primo, vuole essere rassicurato sul fatto che un eventuale errore nella selezione dei candidati, inevitabile quando si assume per le prestazioni più complesse richieste dalla stragrande maggioranza dei nuovi lavori, questo errore fosse rimediabile con costi certi e contenuti, tipo una compensazione monetaria fissata per legge. Secondo, vuole essere sicuro che il dipendente si impegnerà a svolgere sempre meglio le proprie mansioni “imparando facendo”.
Il Jobs act uscito dalla direzione del Pd non cambia nulla su questi due piani. Di più, non viene neanche a sanare la contraddizione introdotta dal decreto Poletti che, permettendo di fatto un periodo di prova di tre anni, scoraggia qualsiasi assunzione a tempo indeterminato e la stessa conversione dei contratti temporanei in contratti permanenti, come certificato dai dati sulle comunicazioni obbligatorie raccolti dal ministero di cui Poletti è titolare.
È sconcertante,
infine, che materie così importanti, che riguardano milioni di
lavoratori, vengano negoziate via sms.
Credevamo che con la nuova politica, l’arte del confronto, della mediazione e
della ricerca del consenso, fosse un’altra cosa.
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