lunedì 20 ottobre 2014

Goffredo Buccini: “L’addio a Mare Nostrum una tragica ipocrisia che dimentica i drammi”



da: Corriere della Sera

Non fingiamo di dimenticare che ogni miglio in meno di pattugliamento significa vita o morte per centinaia di naufragni, mamme e bambini

Almeno non usciamone come i soliti furbastri. Mentre si celebra il passo d’addio di Mare nostrum, la chiarezza ha molta importanza. Il nostro intervento a ridosso delle coste libiche, che in un anno «ha salvato centomila migranti di cui novemila minori» (parole di Angelino Alfano), viene archiviato in queste ore: il Consiglio dei ministri sta per formalizzarlo.
Ma non sarà affatto rimpiazzato da Triton , il servizio di vigilanza sulla frontiera mediterranea lanciato da Bruxelles dal 1° di novembre. Si tratta di impegni ben diversi, e il solo far coincidere la chiusura della più onorevole operazione umanitaria in mare portata a compimento dalla nostra Marina con il varo di questa specie di pattugliamento a trenta miglia dalle nostre coste (sulle duecento che ci separano dalla Libia!) ha un tragico retrogusto di commedia all’italiana: quasi credessimo davvero a un passaggio di consegne.
Siamo bravissimi nell’emergenza, noi: e nella rincorsa. Quando, a ottobre 2013, due naufragi a pochi giorni di distanza seppellirono nelle acque di Lampedusa centinaia di migranti, non vi fu anima bella che non si levò invocando la

salvezza dei tanti altri poveretti che avrebbero continuato a imbarcarsi in quel tratto, consegnandosi agli scafisti, per cercare scampo da guerre e persecuzioni. Mare nostrum cominciò così, con la sua retorica e i suoi squilli di fanfara, e con l’abnegazione dei nostri marinai.
Ma noi siamo anche maestri di ambiguità. E questa coincidenza temporale — tra l’operazione che termina e quella che inizia — prosegue l’equivoco lessicale suscitato dal nostro ministro dell’Interno a fine agosto sul tema di Frontex plus , che avrebbe rianimato la frontiera meridionale dell’Europa, la nostra. Frontex plus , che adesso assume il meno burocratico appellativo di Tri ton , signore del mare, avrebbe «sostituito» (versione Alfano) o «affiancato» (versione della sua omologa europea Cecilia Malmström) la straordinaria missione che sino ad allora avevamo condotto in solitudine? In quell’imbrogliarsi di lingue c’era l’abisso tra ciò che noi speravamo e ciò che i partner europei erano disposti a concederci. Dunque? La risposta arriva adesso.
Ora la commedia degli equivoci va infatti consumandosi appieno. Tra pochi giorni ci sfileremo, fingendo appunto di credere alla staffetta umanitaria; e cercando di dimenticare che ben prima di Mare nostrum i marinai italiani andavano a salvare, come potevano, col proprio coraggio e la propria iniziativa, migranti in pericolo a cinquanta o sessanta miglia dalla nostra costa (il doppio di Triton , in sostanza) . Dovremmo ricordare che ogni miglio marittimo in più o in meno significa vita o morte per centinaia di naufraghi, non jihadisti, mamme e bambini. Ma ora agiamo sotto pressioni politiche ed emotive ben diverse da un anno fa. Certamente Mare nostrum aveva per noi un costo molto alto (il triplo di Triton , che verrà peraltro ripartito tra partner europei); certamente — anche se pochi lo dichiarano ad alta voce e anzi il presidente della Croce Rossa pronuncia in proposito parole di umanità e buonsenso — lo spettro di Ebola inquieta ben più dei fantasmi del Canale di Sicilia; e il salvataggio in mare aperto di profughi scappati dall’Africa senza alcun filtro sanitario può turbare i sonni di molti.
Tuttavia bisogna dirselo. Dirsi senza ipocrisie che dal 1° novembre pietà l’è morta, basta saperlo. Oggi, a Milano e Reggio Calabria, Lega e Fratelli d’Italia manifestano contro l’idea sottesa a Mare nostrum , che era quella del dovere d’accoglienza: il pendolo di un’opinione pubblica isterica ora chiede ponti levatoi alzati. Il segretario leghista Salvini, molto preso nella costruzione di un fronte lepenista nostrano, definisce «una demenza» l’operazione umanitaria che sta concludendosi. Cinque anni fa, da capogruppo del Carroccio a Palazzo Marino, proponeva carrozze della metro segregazioniste: «per soli milanesi».
Siamo un Paese confuso, spesso ad arte. Il capo di Stato maggiore della Marina, Giuseppe De Giorgi, spiegava a fine agosto che gli sbarchi erano aumentati ben prima di Mare nostrum , con buona pace dei razzisti nostrani: la vera molla del grande esodo è ovviamente il crollo degli Stati d’origine dei migranti, la vera partita dovremmo giocarla laggiù (aveva ragione Lorenzo Cremonesi, ieri, su queste colonne). Così siamo condannati a ripetere la nostra storia, i nostri drammi, forse i nostri naufragi.
Alla prossima ecatombe davanti a Lampedusa però sarebbe decente non prendersela con la Marina. Non cercare di scaricare colpe (men che meno sui partner europei che sono stati chiarissimi). E — vale soprattutto per quei politici che dichiarano d’ispirarsi al magistero della Chiesa — sarebbe dignitoso non stracciarsi le vesti quando papa Francesco fustigherà la nostra indifferenza, il nostro cinismo. Il Cristianesimo senza pietà cristiana è un trucco che nemmeno i commedianti italici dovrebbero potersi permettere.

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