da: Famiglia
Cristiana
La
Chiesa apprezza i valori positivi che queste unioni custodiscono più che
sottolineare i limiti e le mancanze. La Relazione "post
disceptationem" riprende tutti i punti del dibattito di una settimana
di Annachiara
Valle
«Le persone omosessuali hanno doti e
qualità da offrire alla comunità cristiana». Lo dicono chiaramente i padri
sinodali al termine di una settimana di dibattito. Nella relazione “post
disceptationem”, presentata questa mattina in aula dal cardinale Peter Erdo,
torna la domanda: «Siamo in grado di accogliere queste persone, garantendo loro
uno spazio di fraternità nelle nostre comunità? Spesso esse desiderano
incontrare una Chiesa che sia casa accogliente per loro. Le nostre comunità
sono in grado di esserlo accettando e valutando il loro orientamento sessuale,
senza compromettere la dottrina cattolica su famiglia e matrimonio?».
«Senza
negare le problematiche morali connesse alle unioni omosessuali», dicono i
vescovi, «si prende atto che vi sono
casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio
prezioso per la vita dei
partners. Inoltre, la Chiesa ha attenzione speciale
verso i bambini che vivono con coppie dello stesso sesso, ribadendo che al
primo posto vanno messi sempre le esigenze e i diritti dei piccoli».
È una Relazione ampia, con molte aperture,
quella che, dopo la discussione della scorsa settimana, dà conto dei lavori di
una settimana di intenso dibattito. L’elenco delle sfide, specificato in 58
punti, è lungo: «La solitudine, che distrugge e provoca una sensazione generale
di impotenza nei confronti della realtà socio-economica; la crescente
precarietà lavorativa che è vissuta talvolta come un vero incubo, una fiscalità
troppo pesante che certo non incoraggia i giovani al matrimonio». Ma poi ci
sono «contesti culturali e religiosi che pongono sfide particolari. Nelle
società africane vige ancora la pratica della poligamia e in alcuni contesti
tradizionali la consuetudine del “matrimonio per tappe”. In altri contesti
permane la pratica dei matrimoni combinati. Nei paesi in cui la religione
cattolica è minoritari a sono numerosi i matrimoni misti con tutte le
difficoltà che comportano in ordine alla configurazione giuridica,
all'educazione dei figli e al reciproco rispetto dal punto di vista della
libertà religiosa, ma anche con le grandi potenzialità di incontro nella
diversità della fede che queste storie di vita familiare presentano. In molti
contesti, e non solo occidentali, si va diffondendo ampiamente la prassi della convivenza
che precede il matrimonio o anche di convivenze non orientate ad assumere la forma
di un vincolo istituzionale. Molti sono i bambini che nascono fuori dal
matrimonio, specie in alcuni paesi, e molti quelli che poi crescono con uno
solo dei genitori o in un contesto familiare allargato o ricostituito. Il
numero dei divorzi è crescente e non è raro il caso di scelte determinate
unicamente da fattori di ordine economico. La condizione della donna ha ancora
bisogno di essere difesa e promossa poiché si registrano non poche situazioni
di violenza all'interno delle famiglie. I bambini spesso sono oggetto di
contesa tra i genitori e i figli sono le vere vittime delle lacerazioni
familiari. Anche le società attraversate dalla violenza a causa della guerra,
del terrorismo o della presenza della criminalità organizzata, vedono
situazioni familiari deteriorate. Le migrazioni inoltre rappresentano un altro
segno dei tempi da affrontare e comprendere con tutto il carico di conseguenze
sulla vita familiare».
Di fronte a tutto ciò la Chiesa ribadisce
che la famiglia resta «scuola di umanità» e che «l’unione tra uomo e donna
resta indissolubile». Tuttavia ricorda che «occorre accogliere le persone con
la loro esistenza concreta, saperne sostenere la ricerca, incoraggiare il
desiderio di Dio e la volontà di sentirsi pienamente parte della Chiesa anche
da parte di chi ha sperimentato il fallimento o si trova nelle situazioni più
disparate. Questo esige che la dottrina della fede, da far conoscere sempre di
più nei suoi contenuti fondamentali, vada proposta insieme alla misericordia».
Non un annuncio meramente «teorico e
sganciato dai problemi reali delle persone», né riproposizione «di una
normativa ma di valori».
In particolare sui divorziati risposati i padri ripropongono il principio della “gradualità”. «Non è saggio pensare a soluzioni uniche o ispirate alla logica del
“tutto o niente”», dicono nella relazione, ricordando che «ogni famiglia
ferita va innanzitutto ascoltata con rispetto e amore facendosi compagni di
cammino come il Cristo con i discepoli sulla strada di Emmaus. Valgono in
maniera particolare per queste situazioni le parole di Papa Francesco: “La
Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa
“arte dell’accompagnamento”, perché
tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro...
Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità, con uno
sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani,
liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana” (Evangelii Gaudium, 169)».
Un discernimento «indispensabile per i
separati e i divorziati. Va rispettata
soprattutto la sofferenza di coloro che hanno subito ingiustamente la
separazione e il divorzio. Il perdono per l’ingiustizia subita non è
facile, ma è un cammino che la grazia rende possibile. Parimenti va sempre
sottolineato che è indispensabile farsi carico in maniera leale e costruttiva
delle conseguenze della separazione o del divorzio sui figli: essi non possono
diventare un “oggetto” da contendersi e vanno cercate le forme migliori perché possano
superare il trauma della scissione familiare e crescere in maniera il più
possibile serena».
Riguardo alla possibilità di accedere ai sacramenti della Penitenza e
dell’Eucaristia, «alcuni hanno argomentato a favore della disciplina
attuale in forza del suo fondamento teologico, altri si sono espressi per una
maggiore apertura a condizioni ben precise quando si tratta di situazioni che
non possono essere sciolte senza determinare nuove ingiustizie e sofferenze.
Per alcuni l’eventuale accesso ai sacramenti occorrerebbe fosse preceduto da un
cammino penitenziale – sotto la responsabilità dal vescovo diocesano –, e con
un impegno chiaro in favore dei figli. Si tratterebbe di una possibilità non generalizzata, frutto di un discernimento attuato caso per caso,
secondo una legge di gradualità, che tenga presente la distinzione tra stato di peccato, stato di grazia e
circostanze attenuanti».
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