da: Il Fatto Quotidiano
Latitanti
e pusher, boss che "comandano" alle elezioni, auto bruciate in serie
e guerra fra poveri. Un ex funzionario, che aveva denunciato rapporti tra i
colleghi dell'azienda casa (Aler) e i pregiudicati, racconta di calabresi,
camorristi e nomadi. E visite elettorali: "Venne un futuro assessore di
Formigoni". Ecco cosa accade nella periferia della città dell'Expo
di Davide
Milosa
Maglietta nera, jeans, capelli rasati sui
lati. Guarda. È insistente. Un pit bull gli pascola attorno. Dice: “Cerchi qualcuno?”.
Risposta abbozzata: “Sì, anzi no, facevo un giro”. Oltre a lui adesso sono in
sei, cinque ragazzi e una ragazza. Tutti italiani. Altri passeggiano sul grande
spiazzo di cemento chiuso tra quattro palazzi di sette piani. Questo è
territorio off limits. “Tra noi qualcuno è di troppo”, dice lei. Ride ma mica
tanto. Meglio andare. Camminata rapida verso il cancello bianco che ti sputa
sullo stradone di traffico. Il passo accompagnato dai bassi di un stereo che
manda ritmi tecno dalla finestra.
Benvenuti a Milano nel fortino tra viale
Sarca e viale Fulvio Testi, periferia nord della città. Case popolari. Gestione
Aler in capo alla Regione che fu di Roberto
Formigoni e che ora è di Bobo
Maroni. Impronta leghista, ma identico risultato. E mentre la politica
apparecchia il banchetto dell’Expo, Milano assiste alla frantumazione del suo
tessuto sociale. Perché quello degli appartamenti gestiti dall’Azienda lombarda
per l’edilizia residenziale è un fronte che monta ogni giorno. Con la cronaca
che accatasta violenze, occupazioni abusive, voti comprati.
Dal Giambellino al Gallaratese, Aler si
mostra impotente. L’azienda regionale, travolta dagli scandali, da sempre
poltronificio per i partiti, in perenne rosso, controlla 72 mila alloggi. A
Milano ha edificato 170 quartieri dove vivono 350 mila persone. Dal 1°
dicembre, però, 28 mila alloggi torneranno sotto la gestione del Comune. “Ce ne
assumiamo la responsabilità”, promette il sindaco Giuliano Pisapia. “Siamo
pronti a vincere la sfida”.
Viale
Sarca, comandano i clan e il voto costa 50 euro
“Il quartiere Sarca-Testi è il centro di
tutto”, racconta un ex funzionario dell’Aler cacciato dall’amministrazione dopo
che per qualche anno ha vigilato sui palazzoni, denunciando gli opachi rapporti
tra i dirigenti pubblici e alcuni pregiudicati. Anche per questo si è fatto ben
volere soprattutto dagli anziani. Non la pensa così l’azienda che gli ha fatto
il vuoto attorno. “Qui rom e calabresi controllano tutto, dal racket allo
spaccio”. Famiglie ben conosciute e con un pedigree criminale di tutto
rispetto. Alcune di loro sono finite sotto la lente dell’antimafia.
“Qui anche i motorini dei postini vengono
fatti a pezzi”, dice l’ex funzionario, “non succede la stessa cosa invece per
certe fuoriserie”. In Sarca-Testi ci passa di tutto. “Anche gente di camorra
legata al clan Gionta”. In questi palazzoni, poi, la politica viene spesso.
“Nel 2010”, ricorda l’ex funzionario che chiede l’anonimato per timore di
ritorsioni, “qui fece campagna elettorale un noto politico lombardo che entrò
nella giunta Formigoni”. Non fa il nome, ma spiega: “Un voto vale 50 euro. Nel
periodo pre-elettorale arrivano macchinoni e gente in giacca e cravatta. Gli
accordi si prendono con i boss del clan Porcino e del clan Hudorovich. La
mazzetta viene lasciata a una sola persona che ha poi l’incarico di distribuire
il denaro ai vari inquilini”.
E se da un lato in questa enclave della
mala politica incassa preferenze, dall’altro, funzionari Aler vengono
ricattati. “Qui si spaccia di giorno e di notte, e in certi casi i pusher hanno
ripreso con i telefonini funzionari e impiegati dell’azienda mentre acquistano
la droga, video che poi hanno utilizzato per ricattarli”. Come? “Per esempio
per ottenere un cambio alloggio in tempi rapidissimi”. Il controllo del territorio
è totale. “A tal punto”, spiega l’ex funzionario, “che nel 2010 qui trovò
riparo un latitante, i carabinieri lo hanno cercato per settimane”. Quartieri
sull’orlo di una crisi di nervi, e palazzi abbandonati. Anche questa è Aler.
E così da viale Sarca ci si sposta al
civico 60 di via Adriano verso Crescenzago. Qui, qualche giorno fa, un
marocchino di 30 anni, con precedenti per droga, è stato ammazzato. Lo hanno
trovato su una montagnetta di rifiuti con la testa rotta. Precipitato dopo una
rissa.
Guerra
al Giambellino rom contro italiani
Abitava al terzo piano di uno stabile
abbandonato. E come lui tanti altri disperati, gente che viene dal Nordafrica e
dall’est Europa. Stabile Aler che, nei piani, doveva diventare una scuola. A
testimoniarlo un cartello affisso al cancello. Si legge che “l’insegnante della
prima ora deve fare l’appello e controllare le giustificazioni”. La data: 2008.
Poi solo il degrado. Che si calpesta oggi metro dopo metro facendosi largo tra
le erbacce e le montagne di immondizia. Ci sono finestre rotte, porte divelte e
su per le scale si intravedono ombre. Dopo la morte del ragazzo nessuno parla.
Si chiamava Moustafa.
Ma Aler oggi è anche corpo a corpo e lotta
per la sopravvivenza. Una guerra tra poveri che infiamma il Giambellino.
Succede tutto la notte del 1 ottobre scorso, quando al civico 58 arriva un
camioncino. Quattro uomini entrano nel palazzo. Martellano, sfondano, occupano.
Ci piazzano una ragazza con tre bimbi. I carabinieri arrivano ma non la
cacciano. Il giorno dopo, in pieno pomeriggio, un gruppo di rom si presenta con
sedie, tavoli, materassi. È la miccia che scatena la rivolta. “Arrivano gli
zingari”, si sente urlare. La gente scende in cortile. Gli italiani fanno muro.
Partono gli insulti. Si sfiora la rissa. Arrivano i carabinieri e i rom se ne
vanno. “Qui non li vogliamo”.
Che fanno gli zingari? Si spostano di un
chilometro verso via Odazio e piazza Tirana. Con donne, bambini e auto di lusso
parcheggiate davanti al civico 4 di via Segneri. Sfilano davanti a una signora
italiana con cagnolino al guinzaglio. Lei si sposta, loro tirano dritto,
entrano nel cancello e scompaiono. “Ormai”, inizia la signora Rosa, “la piazza
è roba loro”. Si avvicina un’altra donna. “Mi chiamo Carla e abito qua da 15
anni. Ogni giorno c’è un’aggressione, i furti sono aumentati, e poi ci sono le
baby gang: ragazzi tra gli 11 e i 18 anni che fanno rapine ai passanti”.
Al
Gallaratese le auto vanno a fuoco
In via Segneri la gente ha paura di
protestare. Un dato comune anche in via Bolla 42, quartiere Gallaratese. Qui in
una sola settimana la mafia del racket ha dato fuoco a tre macchine. Incendi
dolosi, non hanno dubbi gli investigatori. Ne sono certi gli inquilini che da
anni protestano. Il ragionamento è questo: ora ti brucio la macchina e ti va
bene così, la prossima volta, però, tocca alla tua famiglia. Da queste parti
governano clan calabresi che non sfondano le porte ma i muri. “È più semplice”,
dicono.
Dopodiché chi protesta, prima di essere
minacciato, viene pagato. Dai 50 ai 100 euro. Tutto denaro che poi sarà
recuperato con gli affitti abusivi. Succede in via Bolla come in via Asturie,
non lontano da viale Sarca, dove il listino prezzi arriva fino a 3 mila euro
per un appartamento di tre locali. Si occupa ovunque e Aler non pare in grado
di bloccare quest’emergenza. Tanto che rispetto a cinque anni fa, gli sgomberi
in flagranza sono calati del 60 per cento. In tutto questo succede anche che
sulla giostra delle case popolari salgano abusivi e sbirri. Capita nei due
palazzoni Aler di via San Dionigi 42 al confine con il quartiere Corvetto. Le
occupazioni sono aumentate dopo la chiusura del campo nomadi dietro via San
Dionigi. La presenza di poliziotti, però, non è un deterrente. Gli abusivi non
si fermano e occupano non solo gli appartamenti sfitti, ma anche quelli
lasciati vuoti magari da un anziano che per qualche giorno si è ricoverato in
ospedale. Il Comune di Milano, però, promette: “Sarà guerra agli abusivi e al
racket”.
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