lunedì 6 ottobre 2014

Hong Kong, Martin Lee: “Perché l’Occidente ci deve difendere”



da: la Repubblica

Io, leader dei diritti vi spiego perché l’Occidente ci deve difendere
Il comportamento violento degli agenti ha rafforzato la determinazione degli studenti ad andare avanti nella loro battaglia. Vogliamo continuare a vivere nella libertà, non essere una città della Cina Londra e Washington hanno il dovere di aiutarci.

di Martin Lee fondatore del movimento democratico

Hong Kong a settantasei anni non mi sarei mai aspettato di essere attaccato con i lacrimogeni a Hong Kong, la mia patria un tempo pacifica. Come molti delle decine di migliaia di dimostranti non violenti che domenica scorsa erano in strada, quando la folla è stata accolta da una massa di poliziotti in tenuta antisommossa, armati e che sparavano lacrimogeni senza motivo, sono rimasto sconvolto. Dopo aver esortato a mantenere la calma di fronte a una simile provocazione, sono stato raggiunto da una nuvola di fumi urticanti.
I manifestanti non hanno ceduto. Se colpiti dal gas correvano a sciacquarsi il volto per poi tornare con le mani alzate. Ma gli agenti hanno continuato a far salire la tensione. Il loro comportamento aggressivo non ha fatto che rafforzare
la determinazione dei dimostranti — molti dei quali sono troppo giovani per votare — nel difendere le nostre libertà. Come il diritto, a lungo promesso, di eleggere il nostro leader. Le squadre antisommossa si sono ritirate lunedì mattina e da allora il governo ha adottato una strategia di attesa. Il centro di Hong Kong si è trasformato in un festival di strada, con gruppi musicali e tende che spuntavano ovunque e i giovani che chiacchieravano, consultavano i telefonini e dormivano.

Perché noi manifestanti — compresi molti liceali e universitari che hanno tutta la vita davanti — combattiamo in strada per i nostri diritti? Perché questo è un estremo tentativo di difendere i valori fondamentali di Hong Kong, che da tempo ci separano dalla Cina: Stato di diritto, libertà di stampa, buon governo, indipendenza della magistratura, tutela dei diritti umani. La reazione esagerata di Pechino dimostra che il nostro futuro in quanto società libera è a rischio. A rendersene conto più di tutti sono i giovani — molti dei quali nel 1997, quando Hong Kong passò dalla Gran Bretagna alla Cina, non erano nemmeno nati. Non vogliono vivere in una Hong Kong obbligata a diventare come una qualsiasi città della Cina, corrotta dal clientelismo e basata su un ipocrita sistema monopartitico, e riconoscono e apprezzano l’importanza della libertà accademica, la possibilità di parlare e scrivere liberamente.
La protesta è destinata a raggiungere un punto di crisi che da soli non potremo superare. Serve che il resto del mondo si schieri dalla nostra parte, incluse le tante multinazionali la cui prosperità dipende dalla libertà del nostro mercato e dall’onestà e apertura della nostra società. E comprese, soprattutto, le democrazie libere di tutto il mondo. Gli abitanti di Hong Kong meritano di ricevere mag- giore sostegno da parte di Washington e Londra. Non essendosi schierate inequivocabilmente con i pacifici dimostranti democratici, sia Washington che Londra hanno di fatto preso le parti di Pechino in questa vergognosa politica della forza.

I miei timori più grandi ora sono due: che Pechino mostri ai manifestanti qualche insulsa “carota” e propini alla comunità inter- nazionale delle banalità diplomatiche. E che così facendo le manifestazioni — e l’attenzione dei media necessaria a tenerle in vita — perdano impeto. O che Pechino decida di ignorare la riprovazione globale, sicura che rispondere a dei manifestanti pacifici con lacrimogeni e violenza gli costerebbe solo flebili rimostranze da parte della comunità globale.
Il popolo di Hong Kong aspetta da decenni che la Cina onori la promessa di lasciar loro governare la città con un “elevato grado di autonomia”, impegno assunto nel 1984 con la Dichiarazione congiunta tra Cina e Gran Bretagna: un trattato internazionale riconosciuto dalle Nazioni Unite. La Gran Bretagna, che ha sottoscritto la Dichiarazione, ha il dovere di intervenire, e la politica del presidente Obama dovrebbe ispirarsi all’accordo che lega Usa e Hong Kong, nel quale si afferma che la sua sopravvivenza come società libera è interesse dell’America. Londra e Washington, che hanno un certo ascendente sui leader cinesi, hanno il dovere di esortare la Cina ad onorare i suoi obblighi. Il messaggio della scorsa settimana è chiaro: gli abitanti di Hong Kong si batteranno per tutelare le proprie libertà e il proprio stile di vita. E oggi, mentre il mondo si domanda se la Cina si comporterà come membro responsabile della comunità globale, Hong Kong rappresenta un banco di prova essenziale.
(© New York Times. Traduzione di Marzia Porta)

Nessun commento:

Posta un commento