lunedì 6 ottobre 2014

Opera di Roma: licenziare ai tempi dell'articolo 18....



da: Il Fatto Quotidiano

Come le suonano ai lavoratori
Il caso di Roma dimostra che in Italia è possibile licenziare, eccome. Nel 2013 la mobilità è aumentata del 39%
Secondo l’Ocse la protezione degli occupati è in caduta libera
di Salvatore Cannavò

I 182 licenziamenti annunciati dall’Opera di Roma dimostrano quanto la polemica sull’articolo 18 sia strumentale. In Italia, infatti, licenziare è possibile. La vicenda dell’Opera, così, potrebbe essere riassunta nell’articolo 182: “Licenzia quando vuoi, come vuoi, quanto vuoi”. A ogni difficoltà economica, prima di ogni ristrutturazione importante, le aziende possono infatti mandare via i lavoratori in eccesso.
La legge che consente il meccanismo infernale, quella invocata dal Consiglio di amministrazione dell’Opera, è la 223 del 1991 applicabile per motivi di crisi, di ristrutturazione aziendale o di chiusura dell’attività nelle aziende sopra i 15 dipendenti. L’azienda, in questo caso, deve informare le
rappresentanze sindacali, rivolgersi alla Direzione provinciale del lavoro e specificare i motivi che hanno portato alla decisione del licenziamento. Indicare, poi, le misure con cui intende ridurre l’impatto di tali licenziamenti. I sindacati, entro sette giorni, hanno la facoltà di esaminare la richiesta e tentare di trovare un accordo, con il quale si possono individuare, sulla base della legge, i criteri del licenziamento. Questa prima fase può durare 45 giorni al massimo dopo la quale si apre una seconda fase, presso la Direzione provinciale del lavoro che, a sua volta, dura al massimo 30 giorni. Ci sono quindi 75 giorni per concludere la vicenda romana. Una volta definite le procedure di licenziamento, occorre individuare i criteri con cui licenziare i lavoratori.
La legge 223 stabilisce alcuni paletti: i carichi di famiglia, l’anzianità del lavoratore, le esigenze tecniche, produttive e organizzative dell’impresa. Le parti possono derogare dai principi di legge ma senza alcuna discriminazione e con “razionalità”. I lavoratori licenziati sono iscritti nelle liste di mobilità e hanno diritto alla speciale indennità, che però è stata eliminata dalla Fornero e sostituita, dal 2017 in poi, dall’Aspi. La pratica dei licenziamenti collettivi è abbastanza diffusa e si è ampliata maggiormente dopo la riforma del 2012 nota per le modifiche della Fornero all’articolo 18. La legge 92/2012, infatti, ha allentato alcuni vincoli della vecchia 223 rendendo più semplice il ricorso al licenziamento collettivo. Il risultato è quello rilevato dal recente Rapporto sul mercato del lavoro pubblicato pochi giorni fa dal Cnel. Se, fino al 2008, l’indice Ocse che misura il grado complessivo di protezione dell’occupazione, era rimasto in Italia stabile a 4,13 (il massimo è 6 per una protezione completa mentre zero indica una flessibilità assoluta), da allora in poi è sceso drasticamente a 3,75.
“Considerando congiuntamente – scrive il Cnel - il grado di protezione fornito nel caso dei licenziamenti individuali e collettivi attualmente l’Italia risulta essere addirittura più flessibile della Germania, al cui modello la riforma Fornero si era all’epoca ispirata”. La libertà di licenziare, quindi, è stata al centro delle riforme già avvenute nel mercato del lavoro e i suoi effetti si sono già fatti sentire.

La conferma è fornita dai numeri Inps relativi alle indennità di mobilità. Come abbiamo visto, la mobilità è la speciale indennità che si concede a quei lavoratori licenziati nei procedimenti collettivi. È pari all’80% della retribuzione teorica lorda comprensiva solo delle voci fisse in busta paga. Dopo il primo anno, scende all’80% dell’indennità percepita nel primo anno e dura da 12 mesi a 48 mesi a seconda dell’età o della collocazione di un’azienda nel Mezzogiorno. Per il 2013 l’Inps ha speso circa 2 miliardi di euro per finanziare questo ammortizzatore sociale oltre a 1,390 milioni per i contributi figurativi. Più importante, però, è il dato relativo alle domande presentate: 217.597 che rappresentano un balzo del 39% rispetto al 2012. Un vero e proprio boom che riguarda, soprattutto il Sud d'Italia, con il 38% dei beneficiari, seguiti da quelli del Nord-Ovest con il 26%. In Italia si può licenziare. E infatti si licenzia. Il costo è a carico dello Stato.

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