da: La Stampa
Non starò a farvi venire il mal di testa
con il rimpallo di accuse che ha contraddistinto il comportamento delle
autorità alluvionate di ogni ordine e grado durante la giornata di ieri, mentre
i genovesi erano per strada in silenzio a spalare. La solita catena burocratica
in cui un potere scarica le colpe su un altro potere al fine di allontanare da
sé ogni responsabilità.
Se ho capito bene, ma credo che non
l’abbiano capito nemmeno loro, chi avrebbe dovuto dare l’allarme lo ha dato in
ritardo, chi avrebbe dovuto reagire all’allarme non aveva preparato alcun piano
d’azione, chi avrebbe dovuto ripulire e fortificare i torrenti già esondati in
un passato fin troppo recente non ha potuto farlo per un impedimento amministrativo
che però il tribunale competente sostiene essere stato superato da mesi.
La sensazione è la solita: quella di un
Paese non governato e forse ingovernabile, dove i cittadini sono abbandonati a
se stessi, la prevenzione è una parolaccia, tutti pensano soltanto a pararsi il
fondoschiena e nessuno chiede mai scusa. Pressappochismo, disorganizzazione e
paralisi burocratica, il tutto condito con una spruzzata di arroganza. Cambiano
le generazioni e, purtroppo, la frequenza delle alluvioni, ma il menu di Genova
ricorda
desolatamente quelli di Firenze, del Polesine, di Messina. Di ogni tragedia «imprevedibile» che da secoli mette prevedibilmente in ginocchio questa specie di Stato.
desolatamente quelli di Firenze, del Polesine, di Messina. Di ogni tragedia «imprevedibile» che da secoli mette prevedibilmente in ginocchio questa specie di Stato.
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