da: Il Fatto Quotidiano
Non
c'è solo l'economia illegale. Il vero beneficio delle nuove regole comunitarie
è poter ridurre la spesa per interessi non considerando gli swap e così il
Tesoro può nascondere nel debito il peso dei contratti andati male che in
Italia pesano per oltre 4 miliardi
Con la nota di aggiornamento del Documento
di economia e finanza presentata pochi giorni fa dal governo, le previsioni per
l’indebitamento netto del 2014 sono passate dal 2,6 per cento
al 3 per cento sul Pil, la soglia oltre la quale scatta la procedura per
deficit eccessivi dalla quale l’Italia è faticosamente uscita nel 2012. La
situazione economica si è molto deteriorata in questi ultimi mesi rispetto alle
iniziali previsioni di crescita governative dello 0,8 per cento nel 2014. Senza
l’aiutino della revisione straordinaria dei conti nazionali, in questi giorni
si parlerebbe solo di manovra correttiva e di ulteriori sacrifici da compiere.
Molto si è detto sul miglioramento dei conti
pubblici per effetto della rivalutazione del Pil (investimenti in ricerca e
sviluppo, economia illegale, ecc.) poco si è parlato, invece, della contestuale
riduzione della spesa per
interessi, dovuta in gran parte
all’esclusione degli oneri sui contratti di swap e di forward rate agreement
(Fra). Eppure, confrontando l’aumento del Pil e la diminuzione degli interessi,
il secondo ha avuto un impatto sulla riduzione del deficit doppio rispetto al
primo.
Gli Swap
e i Fra sono più conosciuti come strumenti derivati,
quelli di cui hanno fatto largo uso i
governi che si sono succeduti a partire dal 1998, come pure alcune amministrazioni
locali. Nella pancia del ministero
del Tesoro dovrebbero esserci derivati
sul debito pubblico per circa 160 miliardi di euro, circa il 10 per cento
dei titoli di Stato, come ebbe a dichiarare nel 2012, in risposta a una
interrogazione parlamentare, l’allora sottosegretario Marco Rossi Doria
(governo Monti): 100 miliardi sono interest rate swap, 36 miliardi cross
currency swap, 20 swaption e 3,5 miliardi swap ex ISPA. Seppure nei primi otto
anni le finanze pubbliche abbiano beneficiato di quasi 8 miliardi di guadagni
grazie ai derivati, a partire dal 2006 la tendenza si è invertita e le perdite
sono state sempre più consistenti.
La curva cumulata degli swap evidenzia ora
un risultato negativo di quasi 4
miliardi di euro. L’esposizione in contratti swap e Fra sembra essere un
problema in gran parte italiano, visto che nel 2013 sono stati pagati 3,9
miliardi di euro, mentre nell’intera area monetaria europea (Italia compresa),
gli oneri complessivi sono stati 2,4 miliardi di euro. A rimetterci sono stati
anche i Paesi Bassi (400 milioni), l’Irlanda (270 milioni) e la Spagna (180
milioni). Un guadagno si è avuto, invece, in Francia (670 milioni ), Finlandia
(668 milioni) e Belgio (295 milioni). La Germania, dal canto suo, ha chiuso
praticamente in pareggio (-70 milioni).
Prima dell’introduzione del nuovo Sistema
dei Conti Economici (Sec 2010), gli oneri
o i guadagni sui contratti derivati, erano conteggiati negli interessi passivi sul debito (solo per la
verifica del Patto di stabilità) e contribuivano a formare l’indebitamento netto. Il Consiglio e il Parlamento europeo
decisero nel 2001 di emendare le regole del Sec 1995 (Sistema europeo di conti
economici), allora vigente, proprio perché ritennero più appropriato, sotto una
prospettiva economica, misurare l’impatto sul deficit dopo aver incorporato gli
swap tra gli interessi passivi. Con il Regolamento
Ue 220/2014, che, alla luce del Sec 2010, aggiorna le definizioni da
adottare ai fini della procedura per deficit eccessivi, è stata annullata la
decisione precedente, senza, peraltro, fornire una motivazione che giustifichi
sotto il profilo economico i motivi del ripensamento.
Risultato: quando il 22 settembre scorso l’Istat,
l’Istituto nazionale di statistica, ha reso note le nuove stime dei conti
nazionali e della finanza pubblica degli ultimi anni, gli interessi passivi, alleggeriti del peso degli swap, si erano
ridotti di 1,4 miliardi nel 2009, di 2,3 miliardi nel 2010, di 2 miliardi
nel 2011, di 2,4 miliardi nel 2012 e di 3,8 miliardi nel 2013. Per il 2014 – si
apprende nella Nota di aggiornamento al Def – è prevista “una flessione della
spesa per interessi, che in termini assoluti scenderebbe da 82,6 a 76,7
miliardi, con una riduzione dell’incidenza sul Pil di circa 0,5 punti
percentuali”.
Questo non vuol dire che non dovremo più
rispettare i contratti derivati fino alla loro naturale scadenza, ma solo che i
pagamenti per gli interest swap,
classificati come operazioni finanziarie, finiscono nel debito pubblico senza
passare per il deficit. Per il governo, una vera e propria manna piovuta
dal cielo, visto che altrimenti l’indebitamento netto per il 2014 sarebbe stato
del 3,4 per cento.
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