venerdì 10 ottobre 2014

Pier Paolo Pasolini: Lettere Luterane / 4



Paragrafo quarto: come parleremo

Dunque dicevamo l’altra volta che mentre sulla questione dell’aborto si è fatta una grande confusione, sulla questione dell’inettitudine – al limite del criminale – dei potenti democristiani, silenzio sepolcrale. Oppure trasformazione del discorso in un discorso corrente e noioso sul malgoverno e sul sottogoverno, magari con una oscura invocazione all’intervento dei comunisti, cioè a quel «compromesso storico» che altro non farebbe che codificare una situazione di fatto.
Vedi, Gennariello, la maggioranza degli intellettuali laici e democratici italiani si danno grandi arie perché si sentono virilmente «dentro» la storia: accettano realisticamente il suo trasformare la realtà e gli uomini, del tutto convinti che questa «accettazione realistica» è in realtà una colpevole manovra per tranquillizzare la propria coscienza e tirare avanti. E’ cioè il contrario di un ragionamento, anche se spesso, linguisticamente, ha l’aria di un ragionamento.
La regressione e il peggioramento non vanno accettati: magari con indignazione o con rabbia, che, contrariamente all’apparenza, sono, nel caso specifico, atti
profondamente razionali. Bisogna avere la forza della critica totale, del rifiuto, della denuncia disperata e inutile.
Chi accetta realisticamente una trasformazione che è regresso e degradazione, vuol dire che non ama chi subisce tale regresso e tale degradazione, cioè gli uomini in carne e ossa che lo circondano. Chi invece protesta con tutta la sua forza, anche sentimentale, contro il regresso e la degradazione, vuol dire che ama quegli uomini in carne e ossa. Amore che io ho la disgrazia di sentire, e che spero di comunicare anche a te.
I più colpevoli nel non amare questi uomini degradati dal falso progredire della storia, sono, appunto, i potenti democristiani. Lasciamo stare la prima fase del loro regime che è stata decisamente la continuazione del regime fascista; e veniamo alla seconda fase, quella in cui hanno continuato a esistere e ad agire allo stesso modo di prima, benché il potere che essi servivano non fosse più il potere paleocapitalistico (clerico-fascista), ma un nuovo potere: il potere consumistico (con la sua pretesa tolleranza). In questa seconda fase si è avuto un atroce seguito di stragi e di criminalità politiche. Ed è di questo che i potenti democristiani sono, nella fattispecie, anche formalmente colpevoli, perché i casi possono essere solo tre. Primo: i potenti democristiani (o un gruppo di loro) sono i diretti responsabili o mandanti della «strategia della tensione» e delle bombe: lo scandalo del Sid starebbe a dimostrare inequivocabilmente la validità di tale ipotesi. E del resto essa è da leggersi anche tra le righe delle recenti – sia pure in altro senso esplicite – accuse di De Martino.
Secondo: se i potenti democristiani non sapessero tuttavia tutto, o quasi tutto, o molto, o almeno un poco, su di esse, sarebbero degli incapaci che non si accorgono di ciò che accade sotto il loro naso. Terzo: i potenti democristiani sanno tutto delle stragi, o quasi tutto, o molto, o almeno un poco, ma fingono di non saperlo o tacciono.
In tutti e tre i casi i potenti democristiani che in questi anni hanno detenuto il potere, dovrebbero andarsene, sparire, per non dire di peggio.
Invece non solo restano al potere, ma parlano. Ora è la loro lingua che è la pietra dello scandalo. Infatti ogni volta che aprono bocca, essi, per insincerità, per colpevolezza, per paura, per furberia, non fanno altro che mentire. La loro lingua è la lingua della menzogna. E poiché la loro cultura è una putrefatta cultura forense e accademica, mostruosamente mescolata con la cultura tecnologica, in concreto la loro lingua è pura teratologia. Non la si può ascoltare. Bisogna tapparsi le orecchie.
Il primo dovere degli intellettuali, oggi, sarebbe quello di insegnare alla gente a non ascoltare le mostruosità lingusitiche dei potenti democristiani, a urlare, a ogni loro parola, di ribrezzo e di condanna. In altre parole, il dovere degli intellettuali sarebbe quello di rintuzzare tutte le menzogne che attraverso la stampa e soprattutto la televisione inondano e soffocano quel corpo del resto inerte che è l’Italia. Invece, quasi tutti gli intellettuali all’opposizione accettano sostanzialmente quello che accettano i potenti democristiani. Essi non sono affatto scandalizzati dalla mostruosità della lingua dei potenti democristiani.
Il mio sogno, nel nostro rapporto pedagogico, caro Gennariello, sarebbe di parlare napoletano. Purtroppo non lo conosco. Mi accontenterò dunque di un italiano che non abbia nulla a che fare con quello dei potenti e degli oppositori ugualmente potenti. L’italiano di una tradizione colta e umanistica: senza temere una certa «maniera», che in un rapporto come questo nostro, è inevitabile. I preamboli così sono finiti. La prossima volta ti delineerò sommariamente un abbozzo del piano dei nostri lavori – una specie di indice – e poi finalmente cominceremo le lezioni.


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