mercoledì 15 ottobre 2014

Stefano Feltri: “Trenta miliardi di manovra per preparare le elezioni”



da: Il Fatto Quotidiano
Legge di Stabilità: Bonus, sconti Irap e sgravi pensando al voto

Questa è una legge di stabilità elettorale, il piano ormai è chiaro”, dice un importante dirigente del Pd che si prepara a leggere il provvedimento all’ordine del giorno oggi in Consiglio dei ministri conoscendone già lo scopo politico. Lo schema è lineare, come spesso accade nel renzismo: una manovra da 30 miliardi che regala molto a molti, tra TFR, sgravi per le assunzioni, tagli all’Irpef, bonus fiscali. Le coperture? Un po’ di deficit, tagli lineari e qualche misura incerta. Quando si vedranno i buchi sarà troppo tardi.

“Il capo dello Stato Napolitano si dimetterà dopo la legge di stabilità”, commentano dentro il governo Renzi. Chissà, forse l’annuncio sarà nel discorso di fine anno, assieme all’appello per le grandi riforme che si sono arenate complice la sessione di bilancio. L’accordo con Berlusconi e Fi lo hanno capito anche i peones del Transatlantico: il prossimo capo dello Stato va eletto con questo Parlamento, in cui il Cavaliere conta ancora qualcosa. Va scelto qualcuno che non sia troppo ingombrante per il premier e che possa far balenare a Berlusconi l’ipotesi di una qualche riabilitazione. E, dopo, liberi tutti. Al voto prima che l’Europa sanzioni l’Italia come inevitabile quando sarà palese
lo sfondamento del tetto del 3 per cento al rapporto deficit-Pil. “L’Europa può andare affanculo”, riassume un super-renziano.

Ieri le Camere hanno votato la Nota di aggiornamento al Def, che sposta il pareggio di bilancio dal 2016 al 2017. Il governo Renzi, come quello di Letta, si rifiuta di fare la correzione da quasi 15 miliardi necessaria per rispettare il ritmo di riduzione del debito prevista dal Fiscal compact. È il primo passo della finanziaria elettorale di Renzi che ha bisogno di far salire il deficit 2015 per trovare copertura (o meglio, per emettere nuovo debito in assenza di copertura) ad alcune misure garanzia di sicuro consenso. I numeri sono noti: 30 miliardi di interventi, 18 di tagli di tasse, circa 16 di spending review (“tagli lineari”), dicono i critici.

Alla vigilia del Cdm fioccano promesse. Il sottosegretario Graziano Delrio: “La spending review sulle Regioni si aggira intorno ai 4 miliardi come tagli di sistema ma il budget della sanità non verrà toccato, anzi si può ragionare su eventuali incrementi”. Addirittura aumenti: i governatori fanno notare che se non si tocca la spesa sanitaria, si incide sul resto del bilancio che nel complesso vale 19 miliardi. Quindi si parla di un taglio del 25 per cento, altro che il 3 annunciato. Il ministro Maurizio Lupi (Ncd) esulta per “la proroga sia dell’ecobonus al 65 per cento che del bonus del 50 per cento per ristrutturazioni e mobili”. E poi ci saranno gli sgravi per chi assume a tempo indeterminato, la proroga degli 80 euro in busta paga, quasi certamente la possibilità di farsi anticipare la liquidazione in busta (tassata però con l’aliquota Irpef). Tutte misure che – come gli 80 euro a maggio – possono forse far bene all’economia, ma aiuteranno anche la popolarità del premier e del Pd.

Al ministero del Tesoro hanno provato a contenere l’esuberanza del premier: il ministro Pier Carlo Padoan ha scritto una Nota al Def, il documento con i numeri su cui si imposta la legge di stabilità, molto prudente. “Ma Padoan non ha toccato palla, la partita è tutta tra palazzo Chigi e la Ragioneria che va convinta delle coperture”, dicono a Palazzo Chigi. In effetti Padoan era lontano, in Lussemburgo, quando lunedì Renzi ha annunciato le ultime novità.

C’è soltanto un’incognita: la Commissione europea. Ieri Renzi ha chiamato il presidente entrante, Jean Claude Juncker, gli ha illustrato l’impianto della legge di stabilità e ha sottolineato il giudizio tutto sommato positivo dell’agenzia di rating Moody’s che ieri si è espressa sull’Italia: “Molti anni di consolidamento hanno portato ad un significativo surplus primario. Questa solida posizione di bilancio aiuta l’Italia ad avere favorevoli costi di finanziamento, con più tempo per attuare riforme a favore della crescita”. Tradotto: Renzi può fare quello che vuole, Moody’s benedice anche il Jobs Act (nonostante nessuno sappia che c’è dentro). Domani sera il governo manderà il disegno di legge stabilità a Bruxelles. Da giorni la Reuters scrive che potrebbe essere bocciato e rispedita a Roma. A quel punto Renzi potrebbe decidere di ignorare le richieste e rischiare la procedura di infrazione. Che, tanto, arriverebbe molto dopo un eventuale voto di primavera.

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