da: La Stampa
Dagli
atti resi pubblici emergono i depistaggi dei Servizi sull’omicidio della
giornalista
di Francesco
Grignetti
Mogadiscio, Somalia, 23 marzo 1994. Vent’anni fa. Tre giorni prima erano stati uccisi a sangue freddo la giornalista Ilaria Alpi e l’operatore Miran Hrovatin. Un’esecuzione in piena regola. Quel 23 marzo, da Mogadiscio, un agente del Sismi scriveva, tra le altre cose: «Appare evidente la volontà di Unosom (il comando Onu retto dall’ammiraglio statunitense Jonathan Howe, ndr) di minimizzare sulle reali cause che avrebbero portato all’uccisione della giornalista italiana e del suo operatore».
Il documento, scritto a mano, pieno
di cancellature, emerge dal mazzo di nuove desecretazioni appena disposte dal
governo e reperibili sul sito della Camera e si porta dietro una scia di
interrogativi irrisolti. Il principale: perché il Sismi, a Roma, si affrettò a
sbianchettare i rapporti del suo agente in Somalia? «È quanto ci domandiamo
anche noi da tempo», commenta l’avvocato Domenico D’Amati, legale della
famiglia Alpi. Ed è dolente la voce della mamma di Ilaria, la signora Luciana,
che in questi giorni sta esaminando anche lei, chiusa in casa,
i documenti
appena resi pubblici: «Dopo vent’anni, ormai sono pessimista e mi pare di avere
buone ragioni per esserlo. È troppo tempo che grido che ci sono stati
depistaggi, né vedo grandi novità da queste desecretazioni. È una vergogna che
per buona metà siano pagine bianche. I segreti restano segreti».
Ma torniamo a Mogadiscio.
Nei giorni in cui fu uccisa la Alpi, il contingente italiano era quasi andato
via dalla città. Con gli ultimi soldati, si imbarcò anche la cellula degli
agenti segreti che li aveva assistiti nella missione. Restava indietro, con
base all’ambasciata, un ultimo 007. Nome in codice, «signor Alfredo». Ebbene,
il signor Alfredo tutte le sere, via fax, inoltra il suo rapporto a Roma. Qui,
allo stato maggiore del Sismi, lo mettono in bella e lo battono a macchina. E
puntualmente scompaiono i riferimenti all’omicidio. Anche le seguenti parole
furono sbianchettate. «Unosom sta orientando le indagini sulla tesi
(inizialmente il signor Alfredo aveva scritto: “Sta continuando a battere la
pista”) della tentata rapina e della casualità dell’episodio».
Una cosa sola, a
Mogadiscio, fu invece chiarissima da subito: era stata una brutale esecuzione e
bene organizzata. Il signor Alfredo annotava che, al contrario, il comando dei
Caschi Blu faceva finta di non capire. Per concludere: «Non trascurando,
tuttavia, particolari che (in una prima versione era: “Trascurando chiari
particolari che”) indicherebbero il contrario».
Cosa accadeva lungo le linee gerarchiche della Difesa?
«Anche da Roma è giunto a Scalas (l’ufficiale dell’Esercito che aveva il
compito di tenere i rapporti con i giornalisti, ndr) esplicito divieto di
trattare l’argomento e di avanzare ipotesi sui probabili mandanti, ricordando
che tale compito spetta soltanto a Unosom al termine degli accertamenti del
caso».
Tutte
queste parole giunte a Roma da Mogadiscio non sono mai finite nei rapporti del
Sismi. Perché? Il pm che indagava sull’omicidio, Franco Ionta, ha provato
invano a capire quale linea di comando decise di sbianchettare i rapporti del
signor Alfredo. C’è agli atti un’inutile lunga corrispondenza tra la procura e
il Sismi. Il classico muro di gomma. Insiste ora l’avvocato D’Amati: «L’agente
operativo che era rimasto a Mogadiscio fece coscienziosamente il suo dovere. Ma
i suoi rapporti finirono nel cassetto. Da me interrogato al processo, uno dei
capi del Sismi sostenne che il servizio segreto non si occupa di un omicidio.
Figurarsi, se non si occupano del delitto di una giornalista della Rai a cui si
vuole chiudere la bocca, di che cosa si devono occupare?». Gli fa eco la
presidente della associazione Ilaria Alpi, l’ex onorevole Mariangela Gritta
Grainer: «Sappiamo di altre sbianchettature. Il giorno dopo l’omicidio, il
“signor Alfredo” scriveva: da fonte attendibile risulta che a Bosaso la
giornalista è stata minacciata di morte. Frase puntualmente omessa».
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