Siamo
due estranei: lo dicono le tazze da tè
Non mi stancherò mai di ripeterlo: io, nel
parlarti, potrò forse avere la forza di dimenticare, o di voler dimenticare,
ciò che mi è stato insegnato con le parole. Ma non potrò mai dimenticare ciò
che mi è stato insegnato con le cose. Quindi, nell’ambito del linguaggio delle
cose, è un vero abisso che ci divide: ossia uno dei più profondi salti di
generazione che la stori ricordi. Ciò che le cose col loro linguaggio hanno
insegnato a me è assolutamente diverso da ciò che le cose col loro linguaggio
hanno insegnato a te. Non è cambiato, però, il linguaggio delle cose, caro
Gennariello: quelle che sono cambiate sono le cose stesse. E sono cambiate in
modo radicale.
Tu mi dirai: le cose sempre cambiano. «’O
munno cagna». E’ vero. Il mondo ha eterni, inesauribili cambiamenti. Ogni
qualche millennio, però, succede la fine del mondo. E allora il cambiamento è,
appunto, totale. Ed è una fine del mondo
che è accaduta tra me, cinquantenne, e te, quindicenne. La mia figura di pedagogo
è dunque messa irrimediabilmente in crisi.
Non si può insegnare se nel tempo stesso
non si apprende. Ora io non posso insegnare a te le «cose» che mi hanno
educato, e tu non puoi insegnare a me le cose che ti stanno educando (cioè che
stai vivendo). Non ce le possiamo insegnare a vicenda per la semplice ragione
che la loro natura non si è limitata a cambiare alcune sue qualità, è cambiata
radicalmente nella sua totalità.
Osserviamo un fenomeno che sembra
irrilevante. Sono tornati da qualche tempo di moda gli «oggetti» degli anni
Trenta e Quaranta: e io sto girando un film ambientato precisamente nel ’44.
Sono quindi costretto ogni giorno – con quello sguardo impietoso e elencatorio
che il cinema richiede – a osservare gli «oggetti» che filmo. In questi giorni
sto girando una scena in cui delle signorine borghesi prendono il tè. Ho
osservato, dunque, tra gli altri oggetti, delle tazzine da tè.
Il mio scenografo Dante Ferretti aveva
fatto le cose in grande: aveva procurato per la scena un servizio molto
prezioso. Erano tazzine color giallo uovo chiaro, con delle macchie a rilievo
bianche. Legate all’universo della Bauhaus e dei bunker esse erano angosciose.
Non potevo guardarle senza provare una fitta al cuore, seguita da un profondo
malessere. Tuttavia quelle tazzine avevano in sé una misteriosa qualità,
condivisa, del resto, dalla mobilia, dai tappeti, dai vestiti e dai cappellini
delle signorine, dalle suppellettili, dalle stesse carte da parati: questa
misteriosa qualità non dava però dolore, non causava un violento regresso (che
poi la notte ho sognato) in epoche anteriori e atroci. Dava anzi gioia. La loro
misteriosa qualità era quella dell’artigianato. Fino al Cinquanta, fino ai
primi anni Sessanta è stato così. Le cose erano ancora fatte o confezionate da
mani umane: pazienti mani antiche di falegnami, di sarti, di tappezzieri, di
maiolicari. Ed erano cose con una destinazione umana, cioè personale. Poi
l’artigianato, o il suo spirito, è finito di colpo. Proprio mentre hai
cominciato a vivere tu. Non c’è soluzione di continuità ormai, ai miei occhi,
tra quelle tazzine e un vasetto. Il salto tra il mondo consumistico e il mondo
paleoindustriale è ancora più profondo e totale che il salto tra il mondo
paleoindustriale e il mondo preindustriale. Quest’ultimo, infatti, è stato
superato definitivamente – aboluto, distrutto – soltanto oggi. Fino a oggi è
stato esso a fornire i modelli umani e i valori alla borghesia
paleoindustriale: anche se essa li mistificava, li falsificava e li rendeva
talvolta orrendi (com’è successo col fascismo e in genere con tutti i poteri
clerico-fascisti). Mistificati, falsificati, resi orrendi al livello del
potere, essi restavano reali al livello del mondo dominato dal potere: mondo
che si era mantenuto in pratica, nell’enorme maggioranza, contadino e
artigianale.
Da quando tu sei nato, quei modelli umani e
quei valori antichi non son serviti più al potere: e perché? Perché è cambiato
quantitativamente il modo di produzione delle cose.
La verità che dobbiamo dirci è questa: la
nuova produzione delle cose, cioè il cambiamento delle cose, da a te un
insegnamento originario e profondo che io non posso comprendere (anche perché
non lo voglio). E ciò implica una estraneità tra noi due che non è solo quella
che per secoli e millenni ha diviso di padri dai figli.
Nessun commento:
Posta un commento