[..] I centri delle città, per tutta la
vita, hanno sempre assicurato il tuo pedagogo di una inalterabilità della
tradizione umanistica e quindi di una qualità della vita, sia borghese sia
popolare, fondamentalmente conservatrice (che la eventuale rivoluzione operaia
doveva «rigenerare», ma non cambiare). A te invece i centri storici delle città
parlano di un loro problema particolare riguardante la loro conservazione
fisica, la loro materiale sopravvivenza; dall’incompatibilità fra la loro
struttura e la qualità di vita di una massa borghese e operaia consumistica
nasce un caos per cui sia la parola «conservazione» sia la parola «rivoluzione»
non hanno più senso alcuno.
Quanto alla campagna, la differenza fra ciò
che essa ha insegnato a me e ciò che essa sta insegnando a te, è ancora più
enorme. Per me essa è stata la certezza di una continuità con le origini del
mondo umano, e ha valorizzato, fino a dar loro carattere quasi di rito, ogni
minimo gesto, ogni parola. Inoltre essa rappresentava ai miei occhi lo
spettacolo di un mondo perfetto. Per te, al contrario, la campagna parla di se
stessa come di una spettrale e quasi paurosa sopravvivenza. La sua funzione
(tecnicizzata, industrializzata) ti resta estranea, a meno che tu non voglia
occupartene professionalmente. Quanto al resto, essa è un luogo esotico per
atroci week-ends e per non meno atroci villette da alternare con l’atroce
appartamento in città (tutto atroce per me, s’intende).
Capirai piano piano, nel corso di queste
lezioni, caro Gennariello, che malgrado
l’apparenza questi miei discorsi non
sono affatto lodi del tempo passato (che io, in quanto presente, non ho del
resto mai amato). Sono discorsi diversi da tutto ciò che oggi da parte di un
uomo della mia età si possa dire: discorsi in cui «conservazione» e «rivoluzione»
sono appunto parole che non hanno più senso (come vedi sono, dunque, moderno
anch’io).
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