venerdì 24 ottobre 2014

Pier Paolo Pasolini: Lettere Luterane / 6



[..] I centri delle città, per tutta la vita, hanno sempre assicurato il tuo pedagogo di una inalterabilità della tradizione umanistica e quindi di una qualità della vita, sia borghese sia popolare, fondamentalmente conservatrice (che la eventuale rivoluzione operaia doveva «rigenerare», ma non cambiare). A te invece i centri storici delle città parlano di un loro problema particolare riguardante la loro conservazione fisica, la loro materiale sopravvivenza; dall’incompatibilità fra la loro struttura e la qualità di vita di una massa borghese e operaia consumistica nasce un caos per cui sia la parola «conservazione» sia la parola «rivoluzione» non hanno più senso alcuno.
Quanto alla campagna, la differenza fra ciò che essa ha insegnato a me e ciò che essa sta insegnando a te, è ancora più enorme. Per me essa è stata la certezza di una continuità con le origini del mondo umano, e ha valorizzato, fino a dar loro carattere quasi di rito, ogni minimo gesto, ogni parola. Inoltre essa rappresentava ai miei occhi lo spettacolo di un mondo perfetto. Per te, al contrario, la campagna parla di se stessa come di una spettrale e quasi paurosa sopravvivenza. La sua funzione (tecnicizzata, industrializzata) ti resta estranea, a meno che tu non voglia occupartene professionalmente. Quanto al resto, essa è un luogo esotico per atroci week-ends e per non meno atroci villette da alternare con l’atroce appartamento in città (tutto atroce per me, s’intende).
Capirai piano piano, nel corso di queste lezioni, caro Gennariello, che malgrado
l’apparenza questi miei discorsi non sono affatto lodi del tempo passato (che io, in quanto presente, non ho del resto mai amato). Sono discorsi diversi da tutto ciò che oggi da parte di un uomo della mia età si possa dire: discorsi in cui «conservazione» e «rivoluzione» sono appunto parole che non hanno più senso (come vedi sono, dunque, moderno anch’io).


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