da: Corriere della Sera
Ieri è entrato in scena il Precedente.
Ossia un fatto istituzionale mai avvenuto prima, che però da qui in avanti
potrà replicarsi all’infinito. È la grammatica delle democrazie, intessute di
regole scritte e d’interpretazioni iscritte nella storia. E il Quirinale non fa
certo eccezione. Anzi: ogni presidente è un precedente per chi viene dopo,
ciascuno consegna al successore un capitale d’esperienze diverso da quello che
lui stesso aveva ricevuto.
Nel luglio
2012 Napolitano sollevò un conflitto contro i magistrati di Palermo,
dinanzi ai quali ora ha accettato di deporre. In quell’occasione citò Luigi
Einaudi, per ribadire l’esigenza che nessun precedente alteri il lascito del
Colle. Esigenza giusta, ma al contempo errata. Per soddisfarla a pieno,
dovremmo fermare l’orologio. Da qui la lezione che ci impartisce la vicenda.
Napolitano avrebbe potuto rifiutarsi di testimoniare, come ha ammesso la stessa
Corte di Palermo. Poteva farlo perché l’articolo 205 del codice di rito
configura la sua testimonianza su base volontaria, escludendo qualsiasi mezzo
coercitivo. Bastava dire no, e anche il diniego avrebbe offerto un precedente.
Invece ha detto sì. E ha fatto bene: chi non ha nulla da nascondere non deve
mai nascondersi.
Ecco perché lascia un retrogusto amaro la
decisione di tenere l’udienza a porte chiuse. Forse la diretta tv avrebbe
compromesso il prestigio delle nostre istituzioni. O forse no: dopotutto nel
1998 la testimonianza di Bill Clinton sul caso Lewinsky si consumò a reti
unificate. In ogni caso era possibile esplorare una via di mezzo, magari una
trasmissione radiofonica, magari un resoconto dalla stampa accreditata. Perché
la qualità del precedente si misura dalla sua ragionevolezza. Dipende perciò
dall’attitudine a comporre istanze contrapposte, forgiando un modello cui potrà
attingersi in futuro. Specie quando ogni istanza rifletta un valore
costituzionale, come succede in questo caso: l’autonomia della magistratura; il
diritto di difesa, che vale pure per Riina; il riserbo sulle attività informali
del capo dello Stato.
Ma c’è
ragionevolezza nel processo di Palermo? A osservare l’aggressività dei pm,
parrebbe di no; non a caso quel processo ha già innescato un conflitto fra
poteri. A valutare talune decisioni del collegio giudicante, parrebbe di sì:
per esempio la scelta di non ammettere in videoconferenza i boss mafiosi nel
palazzo che rappresenta la Repubblica, bensì soltanto i loro difensori. E
quanto è stato ragionevole l’esame testimoniale? Non lo sappiamo, bisogna
attendere la diffusione del verbale. Nel frattempo girano versioni
contrastanti, i presenti rilasciano interviste, le interviste inondano i tg. Ma
che l’avvocato di Riina diventi per un giorno il portavoce del Quirinale,
almeno questo è un paradosso che potevamo risparmiarci.
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