mercoledì 8 ottobre 2014

Stefano Feltri: “Lo scalpo da offrire a Bruxelles”



da: Il Fatto Quotidiano

La strategia di Matteo Renzi è spericolata, ma i conti pubblici non offrono molte alternative: il premier vuole assolutamente che il Senato approvi con voto di fiducia la legge delega sul lavoro mercoledì, in modo da trasformare il vertice di Milano con i capi di governo di tutta Europa in uno spot continentale per l’abolizione dell’articolo 18. Solo così può sperare di ottenere qualche risultato nel difficilissimo mese che lo aspetta, quello in cui il governo italiano dovrà duellare con la Commissione europea sui numeri della legge di Stabilità. Il settimanale Economist, parlando della nuova coppia anti-rigore formata da Renzi e dal premier francese Manuel Valls, ha scritto: “La disciplina imposta dalla Commissione europea dovrebbe essere allentata soltanto se Vallenzi (Valls+Renzi) riescono ad attuare le riforme promesse”. Renzi sa che a Bruxelles, e a Francoforte, alla Bce di Mario Draghi, la pensano così.

Serve un voto parlamentare e serve sul lavoro. Non tanto perché qualcuno creda davvero che ritoccando l’articolo 18 sul reintegro in caso di licenziamento ingiusto succedano miracoli, ma perché all’estero considerano il lavoro il vero problema italiano. I numeri forniti dall’Ocse, il think tank dei Paesi ricchi, sono questi. Tra 2007 e 2012, la quantità di Pil prodotta per ogni ora lavorata in Italia
è scesa dello 0,3 per cento, mentre il costo del lavoro per unità di prodotto è salito del 2,2 per cento e i salari dell’1,9. Le imprese pagano di più, i lavoratori incassano di più ma producono meno. Nello stesso periodo in Germania il Pil prodotto per ora è cresciuto dello 0,3, il costo del lavoro è cresciuto meno che in Italia (+2,1) e i salari invece ancora di più (+2,4). Se guardiamo agli Stati Uniti, poi, il confronto è deprimente: +1,5 per cento il Pil per ora lavorata, soltanto +0,7 il costo del lavoro e ben +2,3 i salari. Renzi ha quindi assoluto bisogno di dare il segnale che sta affrontando il problema della scarsa competitività dell’economia. E visto che a Bruxelles nessuno crede più alle promesse, gli serve avere almeno un voto parlamentare.
Il passo successivo è cercare di ottenere che alcune spese legate alla riforma – quella più rilevante è l’adeguamento degli ammortizzatori sociali – non concorrano al calcolo del deficit per i parametri europei: quello nel 2014 è già previsto al 3 per cento, ogni spesa extra farebbe scattare la procedura d’infrazione. A meno che non venga concessa una deroga.

Renzi ha quindi insistito moltissimo per convocare il vertice di domani a Milano: una “conferenza” inutile, che non produrrà decisioni operative e neppure documenti, ma che costringerà i capi di governo d’Europa ad applaudire le riforme renziane, dando al governo italiano più forza negoziale a Bruxelles. La scommessa è che Renzi riuscirà a impostare qualcosa di concreto sulla flessibilità contabile, nel Consiglio europeo del 22 ottobre e poi in quello di dicembre dove il presidente della Commissione Jean Claude Juncker presenterà i dettagli del suo piano anti-recessione da 300 miliardi di euro.
Per certi aspetti il momento è favorevole: la Francia ha annunciato che non ha intenzione di ridurre drasticamente il deficit, ormai fuori controllo al 4,4 per cento del Pil. La Germania comincia a sentirsi insicura: ad agosto gli ordini del settore manifatturiero sono crollati del 5,7 per cento rispetto a luglio. Andrea Rees, analista di Unicredit, nota che la colpa è da attribuire a fattori tecnici come i pochi giorni lavorativi di agosto che hanno fatto anticipare molti ordini a luglio, ma si intravede anche, per la prima volta, “una vera debolezza dei fondamentali”. Le aziende sono pessimiste sull’avvenire e le ripercussioni delle crisi geopolitiche, soprattutto quella Russia, cominciano a farsi sentire. La Francia ribelle e la Germania indebolita sono funzionali ai piani di Renzi. Ma non è così semplice.
La cancelliera Angela Merkel non ama trovarsi in difficoltà. E da Berlino hanno fatto capire che a Milano eviterà in tutti i modi di trovarsi sullo stesso palco con il presidente francese François Hollande, che si rifiuta di obbedire a regole di matrice tedesca approvate pochi anni fa anche dalla stessa Francia. L’asse franco-tedesco che per decenni ha governato l’Europa si è rotto, Renzi spera di approfittarne ma non è detto che abbia la capacità diplomatica necessaria per riuscirci. Intanto vuole incassare il primo voto favorevole alla riforma del lavoro, poi deve incrociare le dita e pregare che il caos europeo si evolva nella direzione a lui più favorevole.

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