da: Il Fatto Quotidiano
Reddito
minimo garantito, il sogno che passi in Parlamento
di Stefano
Feltri
Adesso la proposta di legge c’è e alla
Camera si può discutere di reddito minimo garantito. Il comitato che da anni propone
di dare a tutti i cittadini almeno 600 euro al mese ha portato a Montecitorio
le 50 mila firme necessarie al sostegno della legge di iniziativa
popolare. Il presidente della Camera Laura Boldrini, che ora
deve certificare la validità delle firme e poi eventualmente sollecitare il
Parlamento a discuterne, ha accolto così il comitato “Reddito minimo x tutti e
x tutte”: “Il reddito minimo garantito è uno dei temi che ho portato avanti con
più convinzione in campagna elettorale. Il vostro sforzo va nella
direzione di trovare una soluzione a chi oggi è disperato”.
Se alla Camera i deputati se ne occuperanno
davvero, sarà quello presentato il testo da cui partire. Il Movimento Cinque
Stelle ha il reddito minimo ai primi posti del suo programma, ma non ha
mai articolato una proposta. Non ha mai neppure precisato quale delle tante ipotesi
di reddito minimo abbraccia. Idem il Partito democratico. Il
segretario Pier Luigi Bersani lo ha incluso negli otto punti con cui
cercava l’intesa con il M5s, ma senza dare dettagli. E comunque il partito lo
considera un punto non certo urgente: tra manovra correttiva da otto miliardi,
aumento dell’Iva da evitare (4 miliardi) e Tares da gestire, non
ci sono le condizioni. Però il testo di legge in Parlamento ci sarà e ricalca
la proposta elaborata dalla più esperta delle associazioni parte del comitato,
il Basic Income Network, che studia il tema da anni.
L’idea sembra semplice e allettante: dare
“a tutti gli individui (inoccupati, disoccupati, precaria-mente occupati)”
un assegno mensile di 600 euro, che cresce fino a un massimo di 1.900 per chi
ha cinque figli a carico. Non è esattamente l’idea più grillina (il reddito di
cittadinanza), quanto una forma di ammortizzatore sociale per chi non
ha un lavoro e la cui erogazione è vincolata alla ricerca attiva di lavoro. Il
beneficiario non può rifiutare l’offerta di un posto coerente con le proprie
competenze o perde il sussidio. I vantaggi sono molteplici, su tutti
quello di garantire unaprotezione a tutti i lavoratori, inclusi gli
autonomi e i precari, che in Italia sono da sempre i meno tutelati.
La domanda ovvia è: chi lo paga questo
reddito garantito? La proposta di legge si limita a indicare che l’assegno deve
essere erogato dall’Inps e a carico della fiscalità generale, cioè pagato
dalle tasse. Quanto costa non è indicato, ma il Basic Income Network lo ha
calcolato: a spanne 20 miliardi di euro all’anno. Circa 15,5 già li
spendiamo per gli ammortizzatori sociali, dirottando quelle risorse sul
reddito minimo ne mancherebbero altri 5, tanti ma non tantissimi. I sostenitori
del reddito minimo non sottolineano però un passaggio decisivo: per assicurare
i 600 euro a tutti ci vuole un’impresa politicamente titanica, cioè la
complessiva riforma degli ammortizzatori sociali (per la quale viene
prevista una legge delega). La proposta portata ieri alla Camera indica quali
aiuti dovrebbero essere ridimensionati o scomparire: assegni e pensioni
sociali, assegno ai nuclei familiari numerosi e quello di maternità base,
le pensioni di invalidità, le social card, le pensioni per ciechi e sordi.
Non si fa cenno alla cassa integrazione – indicata solo come non cumulabile –
ma qualche ripercussione inevitabile ci sarebbe. Tutto è possibile, ma una
drastica revisione dell’assistenza in Italia non si annuncia facile. Fino a
ieri era un dibattito interno al M5s e ad alcuni gruppi di economisti. Da ora
spetta al Parlamento decidere se provarci o riservare anche a questa il destino
che tocca a tutte le leggi di iniziativa popolare: l’indifferenza e l’oblio.
Twitter
@stefanofeltri
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