da: Il Fatto Quotidiano
La
pericolosa rivoluzione di Giorgio II
di Stefano
Feltri
Lui si commuove, i partiti applaudono.
Eppure non c’è alcuna ragione di celebrare questa sobria e un po’ triste cerimonia
con cui Giorgio Napolitano ha giurato, per la seconda volta, da presidente
della Repubblica. Ne è consapevole anche lo stesso capo dello Stato che ha
rifiutato i corazzieri e la macchina scoperta: non è il momento per il fasto e
per i bagni di folla. Perché quello che si è celebrato oggi a Montecitorio è il
funerale della seconda Repubblica, senza che la politica dimostri alcuna
prospettiva di resurrezione nella Terza.
La novità più rilevante è il passaggio
dell’Italia a un presidenzialismo di fatto: Napolitano ha spiegato che la sua
permanenza al Quirinale dipende da due variabili: da quanto lo sosterranno le
forze e da come si comporteranno i partiti. Se non collaborano, ha lasciato
intendere, lui non si sente più vincolato a restare.
Questo ha una conseguenza molto concreta:
chi volesse sfiduciare il nascente “governo del presidente”, porterebbe alle
dimissioni anche il capo dello Stato, non soltanto il premier. E’ uno schema
alla francese: il primo ministro è un emissario del presidente, vero punto di
riferimento. Non è una novità da poco.
Anche perché è combinata con un elemento
monarchico: la tenuta dell’istituzione è legata a quella della persona che la
incarna, la salute del Quirinale dipende da quella di Napolitano (che appare in
gran forma, ma ha pur sempre 88 anni). Il Vaticano ha appena sperimentato il
trauma profondo che deriva dal legare l’istituzione – che per sua natura
trascende le persone – alla fragilità del corpo.
La combinazione di questi due elementi
porta l’Italia in un territorio inesplorato. Come dimostra il fatto che ormai
non ci sia più alcuna suspense su chi andrà a palazzo Chigi. Tanto la sede del
governo si è spostata al Quirinale.
Poi ci sono i partiti. Napolitano è stato
durissimo con tutti mentre i parlamentari applaudivano. Come se le accuse di
inconcludenza, di corruzione, di irresponsabilità riguardassero un altro
Parlamento e non questo che è stato incapace di fare una legge elettorale
decente, di scegliere un governo, di trovare un nuovo presidente della
Repubblica. Applaudivano, si alzavano in piedi, accennavano a ovazioni. Ma la
riconferma di Napolitano sancisce l’inconcludenza di questa classe politica
che, come sempre, deflette ogni critica, pensando che sia colpa di qualcun
altro, o magari del fato.
Il primo bilancio, comunque, è questo: il
Pd ne esce distrutto, il capo dello Stato ha addossato a Bersani il peso della
paralisi. Silvio Berlusconi è trionfante: come sempre Napolitano ha invocato
pacificazione e dialogo, cioè larghe intese, cioè quello che il Cavaliere
sperava (almeno nell’immediato, lasciando che il centrosinistra finisca di
autodistruggersi, prima di chiamare nuove elezioni e riportare il Pdl al
potere, magari dopo che una riforma della Costituzione avrà consentito
l’elezione diretta del capo dello Stato, cioè di Berlusconi stesso).
Al Movimento Cinque Stelle viene
riconosciuta la dignità e la legittimità di principale (per non dire unica)
forza di opposizione. Certo, Napolitano ha invitato a evitare atteggiamenti
fideistici verso la Rete, perché la democrazia ha bisogno di persone concrete e
di confronto. E ha anche criticato la contrapposizione “tra piazza e
Parlamento”, ma soltanto per poi sottolineare che il M5S ha scelto di
incanalare il suo impegno proprio nelle istituzioni, invece che contro di esse.
Non è escluso che ci sia stato un ruolo di Napolitano nella scelta di Grillo di
evitare la “marcia su Roma”, usando la sua presa sul movimento per contenere la
protesta invece che per cavalcarla. Cosa che avrebbe potuto fare senza fatica.
Non comincia una nuova fase, con questo
discorso. Ma il sistema politico si è preso un anno o forse due in più di
tempo. Una camera di compensazione che è parsa l’unica alternativa
all’anarchia. Sperando che qualcosa sblocchi lo stallo: o il cambio dei
protagonisti (con Barca o Renzi al posto di Bersani, prima o poi con l’uscita
di Berlusconi) o un riassetto dei partiti e quindi delle alleanze (il Pd non
pare in grado di reggere ancora a lungo) o dello scenario internazionale (un
peggioramento o un miglioramento della situazione economica avranno il loro
peso).
Non siamo più vicini, insomma, alla
soluzione dei problemi che ci hanno portato fin qui. Ma la reazione del
sistema, con ulteriori strappi e forzature in direzione presidenziale, potrebbe
essere la premessa di ulteriori crisi future.
Nessun commento:
Posta un commento