da: La Stampa
C’era una volta, in una scuola pericolante,
un bambino spigliato e ambizioso con un problema: era adorato dai compagni
delle altre classi, ma detestato da quelli della sua. Gli tiravano i capelli,
gli pestavano i piedi e appena si girava gli facevano lo sgambetto. «Vattene!»,
gridavano. «Tu non sei come noi. Hai gusti troppo diversi. A noi piace giocare
a scannarci l’un l’altro, però tutti insieme, fingendo di essere amici. Tu
invece vuoi sempre fare giochi nuovi e non ti metti mai in fila». Per tutta risposta
il bimbo si candidò capoclasse, chiedendo all’intero istituto di votare per
lui. E forse sarebbe accaduto davvero, se una bambina vecchissima, la
sindacalista della classe, non avesse bloccato le porte dell’aula all’ultimo
momento. Il bimbo fu sconfitto, ma rimase seduto al suo posto, tranquillo. Beh,
più o meno: usciva di continuo in corridoio a prendersi gli applausi delle
altre sezioni. Ma poi tornava sempre nella sua.
Un giorno alcuni compagni riuscirono a
farlo inciampare dalle scale. Con le ginocchia sbucciate, il bambino venne
convocato in presidenza: «Ho deciso di spostarti in terza D», esordì severo il
preside. «Lì tutti ti amano e ti eleggeranno primo della classe per
acclamazione». Il bambino pestò i piedi. «
Non voglio lasciare la mia aula, io
sono un alunno della terza C!». «Ma quelli della C ti odiano!» disse l’anziano
professore in tono ultimativo. Il bambino estrasse un sorriso duro: «E’ proprio
per questo che mi piacciono. Vedrà, signor preside, io li cambierò». Il preside
gli diede un buffetto. «Non ho ancora capito se mi fai tenerezza o paura.
Comunque per oggi torna a posto, Matteo».
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