da: Il Fatto Quotidiano
Mauro
Corona: “La salvezza è nella terra, riprendiamo la zappa. Stop al superfluo”
L’alpinista,
scultore e scrittore inganna la crisi economica coltivando frutta e verdure,
perché "a ogni cosa si può rinunciare tranne che a soddisfare la
fame". E consiglia di riscoprire il necessario per eliminare le paure del
tempo
di Antonello
Caporale
Nell’incrocio tra un barbaro, un alpinista
e un poeta si sviluppa il corpo e si modella il pensiero di Mauro Corona. Ha
spaccato pietre e usato le parole per raccontarle. Il martello nell’inchiostro.
Dunque scrittore a sua insaputa. Guarda dall’alto in basso gli umani, che forse
un po’ gli fanno schifo, e il mondo, che forse un po’ lo rattrista. Si gode lo
spettacolo dalla parete di una montagna, una roccia chiamata Erto, paese di 400
abitanti collegato a Longarone con il bus e all’Italia dalla tragedia del
Vajont.
“Grazie ai morti del Vajont siamo italiani.
È la disgrazia che ci ha fatto riconoscere. Le televisioni e i giornalisti e le
autorità sono giunte a Longarone, mai nella mia Erto che infatti va in malora
senza che un cristo (un ministro, un deputato, un potente semplice) faccia un
colpo di tosse, una telefonata per chiedere come va. Gli risponderei che serve
della ghiaia, serve riparare una strada perché d’inverno tutto smotta e noi
rimaniamo isolati, celati alla vista e anche al pronto soccorso, a un medico
che ci aiuti, un tabaccaio che apra per noi, un postino che ci faccia imbucare
le lettere”.
Noi in città ci disperiamo per la recessione
economica, lassù lei sta peggio. “Peggio un cavolo! Al netto delle peripezie
che tocca fare perché la montagna richiede sacrifici, le rispondo: una favola.
Coltivo verze, cavolfiori, patate (le patate sono decisive per vivere). E
susine, ciliegie, mele, pere. Toccherà anche a lei imparare a zappare. Il
nostro futuro è nella terra: a ogni cosa si può rinunciare tranne che a
soddisfare la fame. Quindi, niente paura: una zappa ci salverà”.
Conosceremo i calli alle mani, torneremo
alle candele. “Ma benvenuti ai calli, diamine. L’idiozia è restare vittime
della dittatura del superfluo, l’idiozia è non capire che per vedere devi
togliere roba davanti ai tuoi occhi, cosa te ne fai della Ferrari nel
capannone, idiota? Il denaro compra il tempo, ma il tempo è ripetitivo, ci
annoia perché non siamo stati abituati a governarlo, dominarlo. Dove sono le
passioni, e dove la speranza? Da quel che vedo siamo vicini alla fine”. Il capitalismo
sta schiattando? “Ma certo, che dubbio c’è. Ci ridurrà allo stremo. Nel vicino
Friuli c’è un paese dove si facevano sedie. E queste benedette sedie con gli
anni sono venute a costare uno sproposito: le vendevano 400 euro l’una. Sono
giunti i cinesi con le loro sedie a 20 euro e tutto è finito.
Il paese
delle sedie che non ne vende più una. Questo è il capitalismo. Si può essere cretini così? Due giorni
fa ero a Montecarlo per una conferenza”. Lei a Montecarlo? “Certo, devi
andare dai cretini per parlare dei cretini. Devi giungere nel punto esatto
dove si concentrano i soldi per illustrare la loro inutilità”. Marcuse parlava
dell’offerta senza desiderio. “Esatto. Vince l’apparenza sopra la realtà. Il
verosimile sul certo. Vince la televisione, il talk show, il frou frou, il
cinguettio scadente frutto del pensiero inutile. Se non vai in televisione per
dire che ti uccidi neanche tua moglie ci crederà mai”. I suoi libri hanno
venduto perché lei li ha promossi in tv. “Come negarlo? Ho vinto anche un
premio Bancarella, e sapevo un mese prima che l’avrei vinto. Sapevo dello
Strega a Piperno. Sembra tutto un artificio, una vita di plastica, concepita
secondo schemi falsi, triturata dall’omaggio al potere. Forse la mia è solo
invidia e la pagherò. Ma questo è il mio pensiero”. Tutti i potenti sono
cattivi, e tutti gli indifesi sono buoni?
“Diceva Borges: ho scoperto che c’è del male
in me e del buono in altri. Perciò dovremmo essere più fiduciosi,
collaborativi, disponibili. Ma non si riesce a fare un governo, l’uno addenta
l’altro nella negazione che esista un bene comune, uno sguardo comune, una vita
in fondo comune. E siamo qui a fare la conta della tragedia, a chiederci di
quanto ci impoveriremo, di cosa ci mancherà. A piangere e straziarci. Siamo
peggio di quel che vogliamo credere. Noi italiani abbiamo consumato ogni etica,
e questa caduta civile, questa deriva economica un po’ ce la siamo conquistata
con il nostro stile barbarico. Gli schei ci hanno fatto ammalare e ridotto in
povertà. Vanitosi e pigri, ora disperati”. Una parola di conforto? “Una zappa per tutti. Impareremo presto a
essere imprenditori della terra. Cioè di noi stessi, e capiremo che è una cosa
bellissima”.
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