da: La Stampa
Che per un attimo cali il silenzio sulle
danze consumate intorno alle poltrone del potere. La realtà pulsa altrove e
oggi urla. Oggi muore. Anna Maria Sopranzi e Romeo Dionisi erano una coppia
intorno alla sessantina che tutti conoscevamo perché tutti ne abbiamo
incontrata una al supermercato o in coda alla posta. Abitavano la vita con
riservatezza, troppa riservatezza. E con dignità, troppa dignità per un mondo
di vittimisti e di pagliacci.
Il signor Dionisi era un muratore di
Civitanova Marche che a sessantatré anni era stato lasciato a casa dalla ditta,
ma dopo una vita coi calli alle mani non riusciva ancora ad andare in pensione.
Cercava lavoro e ne raccattava soltanto briciole, mezze giornate a spezzarsi la
schiena per una manciata di euro in nero. Andava bene tutto, pur di onorare il
debito con l’Inps per i contributi obbligatori che avrebbero dovuto
consentirgli di traghettare le sue ossa stanche sulla riva della pensione. Nel
frattempo lui e la moglie Anna Maria tiravano avanti con quella di lei: meno di
500 euro al mese.
Ma quel debito era diventato un’ossessione
che toglieva il respiro a entrambi.
La paura, questo mostro che ti sale dalla
pancia e ti conquista i pensieri fino a sottometterli, aveva trasformato la
vecchiaia serena di un uomo e di una donna perbene in un inferno zoppicante
sull’orlo della depressione. Ancora l’altro giorno il presidente del consiglio
comunale di Civitanova, che abita nello stesso condominio, ha consigliato al
signor Dionisi di rivolgersi ai servizi sociali, ma l’orgoglio e la dignità di
una vita intera hanno impedito a quella coppia in disgrazia di rendere pubblico
il proprio disagio. Nella rovina economica c’è sempre una componente di
vergogna che si allea con la solitudine nell’annerire scenari già cupi. Così
Romeo e Anna Maria hanno preso l’ultima decisione. Riservati e dignitosi fino
alla fine, hanno scritto un biglietto di scuse e lo hanno appoggiato sul
cruscotto dell’utilitaria di un’amica. «Guarda nello sgabuzzino». E nello
sgabuzzino l’amica ha trovato i loro corpi appesi al soffitto. Ah, come vorrei
che l’ombra - solo l’ombra - di quell’immagine venisse proiettata nelle stanze
del potere, quasi un pendolo che detti il tempo a chi deve cambiare le leggi e
non lo fa, a chi deve dare risposte ai deboli e non le dà, a chi deve trovare
parole nuove e non ne ha, ma proprio per questo continua a usare solo quelle
vecchie, intrise di caos. Come vorrei che quell’immagine diventasse il loro
tormento, il loro fantasma di Banquo, mentre si accingono a celebrare i loro
incomprensibili riti. Invece purtroppo l’ha vista il fratello di Anna Maria, un
altro anziano solo e impaurito, che è scappato dalla scena del suicidio per
correre al molo ad affogarsi, completando con un tuffo nel blu questa
carneficina familiare e nazionale.
Non c’è più niente da dire. Niente.
Soltanto un avvertimento alla politica, che ha già cominciato ad agitare i
morti di Civitanova come miccia della prossima polemica. Che non si azzardi a
utilizzarli per i suoi scopi di fazione. Il signor Romeo Dionisi, la signora
Anna Maria Sopranzi e il signor Giuseppe Sopranzi non appartengono al mondo dei
giocatori del potere, ma all’immensa tribù degli italiani normali che hanno
lavorato una vita e che in questo Titanic di popolo hanno maturato una sorta di
prelazione, un sacrosanto diritto di essere salvati per primi. In fretta. Prima
che arrivino altri biglietti sul cruscotto, altri drammi inaccettabili, altri
articoli dolorosamente inutili come questo.
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