da: La Stampa
Nell’esporre la
sua netta contrarietà all’esecuzione di «Fischia il vento e infuria la bufera»
durante le celebrazioni del 25 aprile, il commissario prefettizio di Alassio ha
spiegato agli ultimi, stupefatti partigiani che la festa della Liberazione è apolitica.
Non me ne voglia Sua Eccellenza, ma fatico a trovare una festa più politica
dell’abbattimento di una dittatura. Politica in senso nobile e bello, al netto
degli orrori reciproci che purtroppo fanno parte di ogni guerra civile.
Oggi il modo
più diffuso per commemorare la Liberazione consiste nel rimuoverla, annegandola
in un mare di ignoranza. Un signore ha scritto scandalizzato dopo avere udito
all’uscita da una scuola la seguente conversazione tra ragazzi: «La prof dice
che giovedì non c’è lezione». «Vero, c’è qualcosa tipo… una liberazione». Ma
anche i pochi che sanno ancora di che cosa si tratta preferiscono non
diffondere troppo la voce «per non offendere i reduci di Salò», come si è
premurato di precisare il commissario di Alassio. Una sensibilità meritoria, se
non fosse che a furia di attutire il senso del 25 aprile si è finito per
ribaltarlo, riducendo la Resistenza alla componente filosovietica e
trasformando le ferocie partigiane che pure ci sono state nella prova che fra
chi combatteva a fianco degli Alleati e chi stava con i nazisti non esisteva
alcuna differenza. La differenza invece c’era, ed era appunto politica. Se
avessero vinto i reduci di Salò saremmo diventati una colonia di Hitler. Avendo
vinto i partigiani, siamo una democrazia. Nonostante tutto, a 68 anni di
distanza, il secondo scenario mi sembra ancora preferibile. Grazie, partigiani.
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