da: La Stampa
Allarme
Amnesty: il boia non si ferma
E
il Giappone non avvisa più i parenti
Nel
2012 più esecuzioni che nel 2011: “La Cina impossibile da monitorare”
di Giuseppe
Bottero
Due esecuzioni in più. Se i numeri sono in
grado di fotografare un’emergenza, è lì che bisogna concentrarsi. Nel 2012 il
boia ha colpito 682 volte. Nel 2011 erano state 680. L’unica notizia positiva-
dice Amnesty, che oggi ha presentato il rapporto annuale- sta nelle condanne:
1722 sentenze capitali in 58 Paese, rispetto alle 1923 dell’anno precedente.
Nonostante alcuni deludenti passi indietro,
spiegano dall’associazione, la tendenza globale verso l’abolizione della pena
di morte è proseguita. Il 2011, però, ha visto la riprese delle esecuzioni in
Paesi che da tempo non facevano ricorso alla pena di morte: Gambia, Giappone,
India e Pakistan. Con un aumento «impressionante» in Iraq. Questi numeri,
tuttavia, non includono le migliaia di esecuzioni che Amnesty International
ritiene abbiano avuto luogo in Cina, dove i dati sono mantenuti segreti.
«I passi indietro che abbiamo visto in
alcuni Paesi sono stati deludenti, ma non hanno invertito la tendenza mondiale.
In molte parti del mondo le esecuzioni stanno diventando un ricordo del
passato» dice il segretario generale di Amnesty International Salil Shetty.
«Nel mondo solo un paese su 10 continua a usare la pena di morte. I loro leader
dovrebbero chiedersi perché applicano ancora una pena crudele e disumana che il
resto del mondo sta abbandonando». I primi cinque paesi in cui, nel 2012, sono
avvenute esecuzioni sono, nell’ordine, Cina, Iran, Iraq, Arabia Saudita e Stati
Uniti, seguiti dallo Yemen.
I metodi di esecuzione, spiega Amnesty,
hanno compreso l’impiccagione, la decapitazione, la fucilazione e l’iniezione
letale. In Arabia Saudita il corpo di un uomo decapitato è stato
successivamente crocifisso. Drammaticamente, i crimini per i quali nel 2012 si
è mosso il boia hanno incluso anche reati non violenti. Dall’apostasia alla
blasfemia, fino all’adulterio.
L’allerta maggiore riguarda l’area
Asia-Pacifico. India, Giappone e Pakistan hanno ripreso le esecuzioni dopo un
lungo periodo. Ancora una volta, la Cina ha messo a morte più persone che il
resto del mondo insieme. Una crescita allarmante c’è stata in Iraq, dove sono
state messe a morte almeno 129 persone. Il doppio rispetto all’anno precedente.
In America le esecuzioni sono state 43, in nove stati. A fronte dei progressi
dell’Africa subsahariana, Amnesty punta il dito contro la Bielorussia, l’unico
Paese nella regione Europa-Asia centrale a non aver mai fermato il boia. Le tre
condanne a morte sono state eseguite in forma segreta.
«I governi che usano ancora la pena
capitale non hanno più scuse- attacca Salil Shetty-. Non c’è più alcuna prova
che indichi che la condanna a morte abbia un potere deterrente speciale contro
il crimine. La vera ragione per l’uso della pena di morte può spesso essere
trovata altrove. Nel 2012 abbiamo ancora una volta assistito con grande
preoccupazione all’uso della pena di morte per quelli che sono sembrati essere
scopi politici, o come misura populista o come strumento di repressione».
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