lunedì 22 aprile 2013

Napolitano bis avvisa i partiti: o larghe intese o mi dimetto…



da: TMNews

Napolitano: "Intese non sono orrore". Ai partiti: basta tatticismi
Il discorso del presidente: ora governo, decisioni nette su riforme. Se sordità, sarò pronto a trarne conseguenze

Un discorso applauditissimo: nonostante la dura reprimenda per le mancate riforme e per molto altro, i destinatari del monito che Giorgio Napolitano ha rivolto nel suo discorso al Parlamento che lo ha rieletto al Quirinale lo hanno omaggiato con vere e proprie standing ovation in aula alla Camera.

Eppure al Pd non sono sfuggiti un paio di passaggi che sembravano cuciti addosso al partito guidato fino all'altro ieri da Pierluigi Bersani: la prima volta quando il presidente della Repubblica ha definito "regressione" il fatto che "si sia diffusa una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse". E mentre da un lato c'era Silvio Berlusconi che, con tutto il suo partito, si spellava le mani per applaudire il capo dello Stato, dall'altro lato dell'emiciclo i parlamentari del Pd non sono apparsi altrettanto entusiasti. Solo qualcuno si è lasciato andare a un timido applauso.
Gelo e smarrimento nei banchi dei democratici si è diffuso anche quando, dopo il monito sulla "mancata revisione" della legge elettorale, Napolitano ha ricordato che il Porcellum "ha prodotto una gara accanita per la conquista, sul filo del rasoio, di quell'abnorme premio, il cui vincitore ha finito per non riuscire a governare una simile sovra-rappresentanza in Parlamento". Bersani e non solo lui tra i democratici si sono sentiti evidentemente chiamati in causa.

Dopo aver giurato sulla Costituzione, Giorgio Napolitano nel suo discorso a Camere riunite si è commosso tra gli applausi dell'aula. Ha definito "imperdonabile" la mancata riforma delle legge elettorale, e detto che urgono decisioni nette e tempestive per le riforme "di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società italiana".

"Negli ultimi anni - ha spiegato - a esigenze fondate e domande pressanti di riforma delle istituzioni e di rinnovamento della politica e dei partiti, che si sono intrecciate con un'acuta crisi finanziaria, con una pesante recessione, con un crescente malessere sociale, non si sono date soluzioni soddisfacenti: hanno finito per prevalere contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi. Ecco che cosa ha condannato alla sterilità o ad esiti minimalistici i confronti tra le forze politiche e i dibattiti in Parlamento".

"Ho il dovere di essere franco - ha detto - se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al Paese".

"Grato" per la rielezione, Napolitano ha spiegato di aver accettato perché "bisognava offrire, al Paese e al mondo, una testimonianza di consapevolezza e di coesione nazionale, di vitalità istituzionale, di volontà di dare risposte ai nostri problemi: è a questa prova che non mi sono sottratto".

"Quanto è accaduto qui nei giorni scorsi - ha proseguito - ha rappresentato il punto di arrivo di una lunga serie di omissioni e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità. "L'insoddisfazione e la protesta verso la politica, i partiti, il Parlamento, sono state con facilità (ma anche con molta leggerezza) alimentate e ingigantite da campagne di opinione demolitorie". Napolitano ha avvertito: "Attenzione: quest'ultimo richiamo che ho sentito di dover esprimere non induca ad alcuna autoindulgenza".

Il presidente della Repubblica ha detto "no" alla "contrapposizione" tra "piazza e Parlamento" o tra la "Rete" e i partiti e detto che serve "una forte attenzione per il rafforzamento e rinnovamento degli organi e dei poteri dello Stato".

"Il fatto - ha detto ancora Napolitano - che in Italia si sia diffusa una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse, è segno di una regressione". Tutto questo è il segno "di un diffondersi dell'idea che si possa fare politica senza conoscere o riconoscere le complesse problematiche del governare la cosa pubblica e le implicazioni che ne discendono in termini, appunto, di mediazioni, intese, alleanze politiche". "O forse tutto questo è più concretamente il riflesso di un paio di decenni di contrapposizione - fino allo smarrimento dell'idea stessa di convivenza civile - come non mai faziosa e aggressiva di totale incomunicabilità tra schieramenti politici concorrenti".

"Sulla base dei risultati elettorali, di cui non si può non prendere atto, piacciano oppur no, non c'è partito o coalizione (omogenea o presunta tale) che abbia chiesto voti per governare e ne abbia avuti a sufficienza per poterlo fare con le sole sue forze". Dunque, ha avvertito il presidente, "qualunque prospettiva si sia presentata agli elettori, o qualunque patto - se si preferisce questa espressione - si sia stretto con i propri elettori, non si possono non fare i conti con i risultati complessivi delle elezioni. Essi indicano tassativamente la necessità di intese tra forze diverse per far nascere e per far vivere un governo oggi in Italia, non trascurando, su un altro piano, la esigenza di intese più ampie, e cioè anche tra maggioranza e opposizione, per dare soluzioni condivise a problemi di comune responsabilità istituzionale".

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