A
Matteo Renzi, che non mi convince, o meglio: mi convince sempre più di essere l’erede
di Silvio Berlusconi e di essere uno sloganista
privo di contenuti acuti e concreti, di gran lunga, preferisco Pippo Civati.
Ragionevole, quindi: sensato. Credibile e con una certa capacità di comunicare.
Sì, Civati, ma qual è l’alternativa?
Ora, le alternative erano molte fino al voto di Prodi, come ormai sapete. I famigerati 101 hanno decimato le
speranze degli elettori del Pd e anche le alternative, questo è vero, e lo
hanno fatto apposta. Ma qualche alternativa, quella sera, era rimasta ancora.
Se i ‘giovani’
del Pd, invece di dividersi come al solito, chi facendo precipitare la
discussione a pochi minuti dal voto, chi rivendicando una posizione di
corrente, chi schierandosi per l’ennesima volta dietro al capo (che nel
frattempo era cambiato), avessero chiesto
di riunirsi per discutere di quello che era accaduto per colpa dei soliti
strateghi e avessero fatto una proposta tutti insieme, non ci saremmo trovati a
votare il Presidente uscente su nostra insistente richiesta, come se non ci
fossero alternative (perché questa storia delle «alternative che non ci sono» è
iniziata quella sera).
Se poi, invece di dare la colpa a Twitter e
aver discusso di espellere questo o quella, avessimo ragionato su quello che stava accadendo, non avremmo fatto nomi di
possibili premier, senza prima chiarirci in che direzione si stava andando, una
direzione per altro perfettamente contraria a quello che avevamo sempre detto
(quasi) tutti quanti.
Avremmo, per esempio, individuato un percorso più rigoroso e sensato: un
governo di pochi mesi, rivolto a tutte
le forze politiche e non dichiaratamente al Pdl, con pochissime priorità, una legge elettorale da presentare contestualmente
alla presentazione del governo stesso (a meno che non vogliamo credere che
quelli che non l’hanno fatta l’anno scorso e l’anno prima e quello prima
ancora, la facciano in tre settimane), un premier al di sopra delle parti,
ministri che non avessero già fatto i ministri, e un gruppo dirigente del Pd
veramente dimissionario. Perché si sono dimessi tutti (tranne il premier
incaricato), ma non mi pare che sia cambiato alcunché, nelle dinamiche del Pd.
Anzi. E stiamo parlando di un governo di legislatura, con ministri (già
ministri) politici, condiviso nel programma con Berlusconi, che sembra quello
più ‘tonico’, tra l’altro.
Se
me l’avessero chiesto, in una qualche riunione del Pd che non c’è stata,
l’avrei detto, e avrei chiesto di votare su questa posizione. Ma in ragione
dell’autonomia spesso rivendicata dal partito (sì, ciao), ha deciso tutto
Napolitano e non ci sono più state alternative.
Peccato che le alternative le avessimo distrutte noi, e poi abbiamo
semplicemente deciso che la brutta notizia da dare agli elettori era meglio se
toccava a Napolitano, perché per noi era un po’ dura spiegarla di persona.
Certo, c’era il rischio di non vederlo
varare, quel governo che non abbiamo provato a fare. E c’era il rischio di
andare a votare prestissimo. Un rischio che ci saremmo assunti, se fossimo
stati davvero ‘giovani’. E invece si sono ‘posizionati’ quasi tutti. E i
risultati li vediamo. E anche il fatto che in pochissimi minuti tutti si siano
allineati, come sempre.
Le alternative nella vita ci sono: se però
si escludono una dopo l’altra e volutamente, poi non ce ne sono più.
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