Fabrizio
Bentivoglio: ‘Sono in debito di commedia’
Da
giovedì su Canale 5 l’attore torna in “Benvenuti a tavola-Nord contro Sud” di
Lucio Pellegrini e riprende il duello tra chef con Giorgio Tirabassi. E intanto
gira “Il capitale umano” di Paolo Virzì
Sarà lo sguardo malinconico, l’aria timida,
certe esitazioni da ragazzo beneducato. Fabrizio Bentivoglio negli
ultimi anni ha interpretato ruoli da intellettuali pensosi, mariti tormentati,
padri imperfetti, uomini piegati dalla malattia. «Invece ho scoperto quanto sia
bello far ridere, quanto sia liberatorio: con questo ruolo di chef mi sono
preso tutta la libertà di mostrare un’altra parte di me». Da giovedì l’attore
nato al Piccolo teatro, eroe del cinema di Salvatores, rimette la candida
giacca da cuoco chic nella seconda serie di Benvenuti a tavola- Nord contro
Sud di Lucio Pellegrini, su Canale 5. Riprende il duello con Giorgio
Tirabassi, la saga dei due ristoratori rivali a Milano ha arruolato Vanessa
Incontrada e la sfida tra due mentalità, due mondi, due stili in cucina,
diventa ancora più divertente. Mentre va in onda la fiction, l’attore gira a
Milano Il capitale umano di Paolo Virzì, dal romanzo di Stephen Amidon (la
sceneggiatura è firmata da Francesco Bruni e Francesco Piccolo). «Un thriller
brianzolo, o se volete, un noir padano» come ha spiegato il regista «che vuole
raccontare le conseguenze che l’ansia del denaro può avere sulle persone
nell’epoca dei grandi crolli finanziari, insomma, la realtà che stiamo vivendo
oggi».
Bentivoglio,
chi è nel film?
«Non posso dire molto, sono il signor Dino
Ossola — il nome dice tutto — ha l’immobiliare sul corso del paese e le cose
vanno malino. La famiglia rivale
è quella dei Bernaschi, con moglie e un figlio
con cui ha instaurato una relazione la figlia di Dino. Ossola approfitta di
questa vicinanza tra i ragazzi con tutte le conseguenze del caso».Il film racconta l’Italia?
«Il capitale umano è quello che siamo
diventati».
Grazie
alla tv ha scoperto che le piace far ridere?
«Sì, perché no? Sono un po’ in debito,
professionalmente parlando, con quel lato più leggero che genericamente
chiamiamo commedia. L’anno scorso girando Benvenuti a tavola camminavo sulle
uova, stavolta mi sono sentito più libero, e mi sono divertito con Giorgio
Tirabassi».
Perché
le hanno sempre affidato ruoli drammatici?
«Le scelte sono sempre reciproche, ero
rimasto imprigionato in un cliché. Inevitabilmente è successo che abbiano
finito per considerarmi un attore di un solo tipo, al cinema tendono a
incasellarti, sai fare certi ruoli e i registi vanno sul sicuro. Tentare nuove
strade può diventare complicato. Ma ero pronto».
Masterchef
spopola, Cracco & c. conquistano le copertine.
«Pietro Valsecchi ha grande intuito, con la
serie ha visto lungo, ha assecondato una sua autentica passione. Quando nella
scelta non c’è solo calcolo ma vera curiosità le cose riescono».
Dal
cinema d’autore è passato alla tv, non ha mantenuto la promessa fatta a
Mastroianni che a Venezia le disse: «Bentivoglio sei bravo, ora non ti mettere
a fare la televisione».
«È vero, era il ’93, avevo vinto la Coppa
Volpi per Un’anima divisa in due. Però l’ho mantenuta per una ventina d’anni…
Rivendico questa scelta, mi ha permesso di giocare, riscoprire il mio corpo
d’attore in movimento. Mi erano state date tante possibilità, ma andavano tutte
sulla strada dell’interiorizzazione».
Per
anni ha fatto parte di un gruppo: quanto è contata l’amicizia con Salvatores e
Abatantuono?
«Tanto. Da teatrante la sensazione è quella
di far parte di una compagnia, ci sono sempre gli arrivederci ma sai che ci si
rincontrerà: quando ti ritrovi è come essersi lasciati il giorno prima. Diego
per me è una persona speciale, confesso che vorrei essere come lui: estroverso,
incontenibile. Se ripenso a Marrakech express, al nostro primo incontro,
ricordo che rimasi affascinato dalla sua potenza, dalla sua libertà. Non era
mai capitato che qualcuno mi facesse ridere in scena, una cosa inconcepibile,
da dilettanti. E con lui mi è successo ».
Ha dovuto interrompere la scena?
Ha dovuto interrompere la scena?
«Per forza, ridevo alle lacrime. Quella
lezione è stata cruciale. Ho pensato spesso che il ruolo dello chef Conforti
sarebbe stato perfetto per Diego, l’ho interpretato pensando a come avrebbe
potuto farlo lui. Ha una comunicativa, un’umanità…».
Ha
iniziato al Piccolo, le manca il teatro?
«Sì, quando poi vedo spettacoli come Le
voci di dentro con i fratelli Servillo mi rincuoro, mi emoziono e mi viene una
gran voglia di rifarlo. Ma cinema e teatro hanno metabolismi diversi, per il
teatro devi sapere tutto un anno prima, il cinema è fluttuante: un film può
slittare, anticipare. È complicato, Toni Servillo ha una sua compagnia,
meravigliosa, e può gestire tutto direttamente. È un genio in scena e Peppe è
un talento, lo sapevo avendo condiviso con lui il palco ».
Ha
scoperto la paternità da adulto, a 55 anni ha tre figli piccoli. È felice?
«Oddio, la parola “felice” è impegnativa
però sì nel senso che, fortunatamente, ho potuto smussare certe nevrosi e
arrivare in maniera più equilibrata alla paternità. Rivendico di esserci
arrivato tardi, prima non avrei potuto neanche provare a fare il padre.
L’educazione dei figli è un corpo a corpo da cui si esce spossati. Sono un
figlio unico che ha sofferto, ho sempre desiderato avere fratelli, condividere.
In fondo invidio i miei bambini perché ognuno di loro ha un fratello e una
sorella. Bello, e adesso è come se ce li avessi anch’io».
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