da: Il Fatto Quotidiano
Copyright
in rete, l’Agcom ci riprova
di Nicola
D’Angelo
Ci risiamo! L’Agcom annuncia che riparte l’iter
del regolamento sul copyright in rete. Invece di chiedere la modifica
del decreto Romani che impropriamente ha esteso le regole sul
diritto d’autore dalla televisione ad internet, si insiste di nuovo sull’approvazione di un testo privo delle
necessarie giustificazioni giuridiche che affida ad un controllo
amministrativo la vigilanza sui contenuti diffusi sul web.
Quando ci provarono alcuni mesi fa si
scatenò giustamente una forte reazione culminata nell’evento “la notte
per la libertà della rete”, vedremo ora che succede. Ho più volte sottolineato
come i temi relativi alla net neutrality e alla libertà di diffusione
dei contenuti dovrebbero essere urgentemente affrontati mediante la
preventiva approvazione di uno statuto di regole che costituiscano un preciso
presidio di garanzia. Su queste problematiche vale la pena ricordare anche le
prese di posizione di Rodotà e di altri giuristi sulla necessità di
costituzionalizzare, modificando l’art. 21, il diritto alla libertà di accesso
e di utilizzo della rete. Tuttavia, non sembra che queste questioni
interessino chi siede in Parlamento.
L’Agcom allora riprende con ostinazione un
percorso pericoloso, in assenza
di una seria verifica giuridica e politica. Il
panorama peraltro si è fatto più fosco a seguito di alcune recenti pronunce
giurisdizionali che in modo esclusivamente repressivo e alieno dalle
caratteristiche del mezzo hanno imposto sanzioni ed obblighi esorbitanti. Non
si tratta di giustificare forme di illecito, ma di identificare nuove forme di
tutela del diritto d’autore al passo con i tempi e con l’importanza che ha
assunto internet nei meccanismi di conoscenza e di partecipazione. Ci sono in
sostanza diritti fondamentali che devono essere contemporaneamente
garantiti e questo non lo si può fare in via amministrativa. D’altra
parte, il dibattito è fortissimo in Europa e in molti Parlamenti (in
particolare in quello americano) e noi non possiamo rassegnarci alla sorte di
scelte tutte interne alle alchimie di un’Autorità pur sempre amministrativa.
Nuove forme di remunerazione del lavoro di
chi fa contenuti sul web si diffondono nel mondo (ad esempio i c.d.
creative commons) e sarebbe dunque ora di sganciarci anche per ragioni
economiche dal vecchio impianto della legge sul diritto d’autore e
soprattutto dalla televisione. E si, perché il tema si trova nel decreto Romani
del 2010 sulla spinta dell’interesse a regolare la rete, ritenuta invadente e
pericolosa delle prerogative dell’oligopolio televisivo. Allora protestarono in
pochi (io in particolare, tanto da finire segnalato come oppositore
del potere mediatico di Berlusconi in un dispaccio, reso pubblico da wikileaks,
dell’Ambasciata americana al Dipartimento di Stato). Oggi, dunque, chi può
intervenire in Parlamento dovrebbe svegliarsi. Il movimento 5Stelle ne aveva
parlato anche nel suo programma elettorale. Altri politici avevano mostrato
sensibilità. Nell’attesa è forse il caso di riprendere una discussione in
rete e nelle diverse associazioni che già in passato si sono mobilitate su
questi temi.
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