da: Lettera 43
Maroni
e la bufala della macroregione del Nord
Gli
ha fatto gioco in campagna elettorale. Ma in Lombardia l'ipotesi di Maroni è impraticabile. I
casi d'Europa.
di Ulisse
Spinnato Vega
Una buona fiche da giocare in campagna
elettorale, ma una bufala clamorosa in termini di sostanza istituzionale.
Roberto Maroni diventa governatore della Lombardia inneggiando alla
macroregione del Nord che dovrebbe dar seguito al patto di Sirmione del 16
febbraio scorso, siglato in pompa magna dai presidenti leghisti di Piemonte e
Veneto, Roberto Cota e Luca Zaia, dal pidiellino Renzo Tondo, che guida il
Friuli, e dallo stesso Maroni, che allora era candidato al Pirellone.
IL 75% DELLE IMPOSTE SUL
TERRITORIO. La proposta di una maggiore autonomia amministrativa dell’area
padana, condita con il succoso progetto del mantenimento del 75% delle imposte
sul territorio, è una bella bandiera da sventolare sotto il naso del
ridimensionato elettorato del Carroccio, ma presuppone una rivoluzione
politico-istituzionale su cui i leghisti hanno finora furbescamente sorvolato.
Ci sono due vie legislative, infatti, per
realizzare il progetto vagheggiato da Maroni. Ma entrambe passano da Roma e
dall’odiato parlamento nazionale.
REFERENDUM APPROVATO DALLA
MAGGIORANZA. Si potrebbe far leva infatti sull’articolo 132 della
Costituzione che regola la fusione di due o più regioni attraverso legge
costituzionale. In prima battuta, però, serve l’ok
di almeno un terzo delle
popolazioni interessate attraverso la richiesta dei loro Consigli comunali e
poi ci vuole un referendum approvato dalla maggioranza delle popolazioni
stesse.
La Lega che prende solo il 4% su base
nazionale, crolla all’11% in Veneto, al 14% in Lombardia e sotto il 5% in
Piemonte, è in grado di convogliare tanti elettori su questo progetto?
Inoltre l’articolo 132 ha comunque bisogno
di una norma costituzionale approvata a Roma. E le Camere che devono decidere
non sono esattamente a trazione leghista.
UNA VERA MODIFICA DELLA CARTA. Maroni,
tuttavia, è ancora più ambizioso. E sogna (è la seconda via) una modifica vera
e propria della Carta che dia la percezione di una macroregione che nasce come
soggetto del tutto nuovo. A parte la difficoltà dei numeri in Parlamento per il
Carroccio, la procedura ‘aggravata’ di modifica della Costituzione prevede la
doppia lettura con intervalli temporali di tre mesi e l’approvazione a
maggioranza assoluta. Un meccanismo lungo e farraginoso che non sembra
praticabile, soprattutto nell’ottica di una legislatura che si preannuncia
comunque di corto respiro.
Gli
ostacoli politici posti dai parlamentari
Maroni non ha insomma i numeri alle Camere,
non avrà probabilmente il tempo e deve fare per giunta i conti con gli ostacoli
politici. I parlamentari dell’alleato Pdl eletti nelle regioni del Sud,
infatti, non appoggerebbero mai un disegno di autonomia rafforzata che ha come
obiettivo principe il mantenimento sul territorio del 75% delle imposte.
La riforma degli articoli 116, 117 e 119
della Carta appare dunque del tutto impraticabile. E lo strumento del
referendum rappresenta una chimera per le camicie verdi, visto che dovrebbe
essere richiesto da cinque regioni, 500 mila cittadini o un quinto dei membri
della Camera.
I TEMI FISCALI RESTANO TABU. Le tre grandi regioni del Nord a trazione leghista potrebbero fare delle leggi coordinate su materie economiche, per esempio. Ma i temi fiscali sono tabù. A parte il fatto che una Lombardia che dovesse trattenere il 75% delle imposte genererebbe gravi ripercussioni sulla ripartizione delle risorse per la sanità e penalizzerebbe fortemente le regioni meridionali.
I benefici per la locomotiva d’Italia, tra l’altro, non sarebbero quelli sbandierati dallo stesso Maroni e dal segretario regionale della Lega Matteo Salvini. I lombardi vedono già rientrare il 66% delle risorse prodotte, dunque una quota non lontanissima dal 75% evocato nei proclami del Carroccio come la panacea di tutti i mali. E la differenza fa circa 8 miliardi. Non i 20-25 miliardi di cui favoleggiano a Via Bellerio.
Su un gettito fiscale totale nazionale che nel 2011 è stato pari a 411 miliardi di euro (e nel 2012 è già a 378 miliardi tra gennaio e novembre), i lombardi versano circa il 21%, ossia 86 miliardi.
I TEMI FISCALI RESTANO TABU. Le tre grandi regioni del Nord a trazione leghista potrebbero fare delle leggi coordinate su materie economiche, per esempio. Ma i temi fiscali sono tabù. A parte il fatto che una Lombardia che dovesse trattenere il 75% delle imposte genererebbe gravi ripercussioni sulla ripartizione delle risorse per la sanità e penalizzerebbe fortemente le regioni meridionali.
I benefici per la locomotiva d’Italia, tra l’altro, non sarebbero quelli sbandierati dallo stesso Maroni e dal segretario regionale della Lega Matteo Salvini. I lombardi vedono già rientrare il 66% delle risorse prodotte, dunque una quota non lontanissima dal 75% evocato nei proclami del Carroccio come la panacea di tutti i mali. E la differenza fa circa 8 miliardi. Non i 20-25 miliardi di cui favoleggiano a Via Bellerio.
Su un gettito fiscale totale nazionale che nel 2011 è stato pari a 411 miliardi di euro (e nel 2012 è già a 378 miliardi tra gennaio e novembre), i lombardi versano circa il 21%, ossia 86 miliardi.
QUASI 20 MLD TRA TRIBUTI PROPRI ED
ERARIALI. La Lombardia, peraltro, può contare su ben 11,5 miliardi di
entrate dovute a tributi propri (bilancio di previsione 2012). E su 7,3 miliardi
di tributi erariali e compartecipazioni attesi nel 2013. Senza dimenticare 1,2
miliardi di assegnazioni dallo Stato (parte corrente e conto capitale) nella
previsione di competenza per il 2012.
Tra l’altro, se si allarga il discorso alla vagheggiata macroregione del Nord, il Veneto si riprende già oggi il 72% di quello che elargisce e il Piemonte arriva addirittura all’86%. Dunque, in base ai numeri, non si comprende in cosa consista questo presunto scippo ai danni dei poveri ‘padani’.
Certo, ci sono circa 50 miliardi di trasferimenti da Nord a Sud che sicuramente il Meridione deve imparare a usare con più oculatezza. Ma si tratta delle risorse che giustificano la solidarietà nazionale e costituiscono il collante necessario per l’esistenza stessa di uno Stato unitario.
Tra l’altro, se si allarga il discorso alla vagheggiata macroregione del Nord, il Veneto si riprende già oggi il 72% di quello che elargisce e il Piemonte arriva addirittura all’86%. Dunque, in base ai numeri, non si comprende in cosa consista questo presunto scippo ai danni dei poveri ‘padani’.
Certo, ci sono circa 50 miliardi di trasferimenti da Nord a Sud che sicuramente il Meridione deve imparare a usare con più oculatezza. Ma si tratta delle risorse che giustificano la solidarietà nazionale e costituiscono il collante necessario per l’esistenza stessa di uno Stato unitario.
Un
trampolino di lancio verso l'Euro-regione alpina
Per il Carroccio il disegno della
macroregione è inoltre una sorta di trampolino di lancio verso l’Euro-regione
alpina che vedrebbe il Nord-Italia coordinarsi con la ricca Baviera e con altre
aree di Paesi limitrofi quali, ad esempio, Austria e Slovenia.
In Europa esistono già oltre 100 realtà euro-regionali.
Ma sono finalizzate sempre alla cooperazione transfrontaliera e sono
partecipate da enti territoriali dell’una e dell’altra parte dei confini.
Soprattutto, però, non implicano nuovi livelli di autonomia amministrativa.
NIENTE COSTI AGGIUNTIVI PER LA FINANZA PUBBLICA. Una cosa molto diversa, dunque, dal progetto che la Lega Nord di Codroipo (Udine) aveva enucleato qualche tempo fa e che prevedeva una Comunità autonoma con nuove forme di governo. Ogni Regione, secondo tale idea, dovrebbe confederarsi con un’altra creando un soggetto inedito senza costi aggiuntivi per la finanza pubblica.
Una volta formatasi tale comunità, sarebbe necessario enucleare gli organi comuni, definire l’ordinamento e individuare le ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia.
Ma la legge regionale che forma la Comunità autonoma potrà essere promulgata solo con la vittoria a maggioranza dei voti validi espressi in un referendum in ogni regione interessata. Altro ostacolo non da poco per i leghisti.
UN PROGETTO BOLLATO COME IRREALIZZABILE. Tirando le somme, il sogno del cantone subalpino o del land settentrionale, a seconda di come lo si voglia chiamare, pare destinato a restare tale.
Non a caso Luca Antonini, esperto di autonomie locali, uomo vicino a Giulio Tremonti e Roberto Calderoli, ma soprattutto presidente per il governo Berlusconi della Copaff (Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale, ndr), ha bollato il progetto di Maroni come irrealizzabile.
NIENTE COSTI AGGIUNTIVI PER LA FINANZA PUBBLICA. Una cosa molto diversa, dunque, dal progetto che la Lega Nord di Codroipo (Udine) aveva enucleato qualche tempo fa e che prevedeva una Comunità autonoma con nuove forme di governo. Ogni Regione, secondo tale idea, dovrebbe confederarsi con un’altra creando un soggetto inedito senza costi aggiuntivi per la finanza pubblica.
Una volta formatasi tale comunità, sarebbe necessario enucleare gli organi comuni, definire l’ordinamento e individuare le ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia.
Ma la legge regionale che forma la Comunità autonoma potrà essere promulgata solo con la vittoria a maggioranza dei voti validi espressi in un referendum in ogni regione interessata. Altro ostacolo non da poco per i leghisti.
UN PROGETTO BOLLATO COME IRREALIZZABILE. Tirando le somme, il sogno del cantone subalpino o del land settentrionale, a seconda di come lo si voglia chiamare, pare destinato a restare tale.
Non a caso Luca Antonini, esperto di autonomie locali, uomo vicino a Giulio Tremonti e Roberto Calderoli, ma soprattutto presidente per il governo Berlusconi della Copaff (Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale, ndr), ha bollato il progetto di Maroni come irrealizzabile.
Mentre il governatore del Veneto Zaia, che pure è tra i firmatari del patto di
Sirmione, qualche mese fa aveva bocciato l’ipotesi di una vera e propria
fusione che avrebbe inevitabilmente creato un ente territoriale a trazione
lombarda.
IL MONITO DI SILVIO BERLUSCONI. E lo stesso Silvio Berlusconi, infine, aveva sminuito in campagna elettorale la presunta portata storica del nuovo mantra leghista: «Il 75%? Al Nord rimangono già ora le stesse somme, se si intende questa percentuale come comprensiva delle spese di tutte le istituzioni situate al Settentrione, quindi anche le Province, i Comuni e tutte le società o articolazioni che amministrano servizi pubblici».
IL MONITO DI SILVIO BERLUSCONI. E lo stesso Silvio Berlusconi, infine, aveva sminuito in campagna elettorale la presunta portata storica del nuovo mantra leghista: «Il 75%? Al Nord rimangono già ora le stesse somme, se si intende questa percentuale come comprensiva delle spese di tutte le istituzioni situate al Settentrione, quindi anche le Province, i Comuni e tutte le società o articolazioni che amministrano servizi pubblici».
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