da: la Repubblica
Zingaretti:
"Una vita da mediano tra set e campetti di periferia"
L'attore
racconta il suo amore per il calcio: "Bellissimi quegli anni tra la scuola
e le corse per andare a giocare. Se parliamo di gioia pura non c'è niente di
eguagliabile. Anche cinema e teatro sono giochi di squadra, e l'allenatore è il
regista"
Ovunque si trovi, in spiaggia quando si
decidono le sorti di "scapoli e ammogliati", in un parco dove un
gruppo di ragazzini sta giocando, Luca Zingaretti prende a calci un pallone. La
passione non s'insegna e non invecchia. L'attore di talento che per milioni d'italiani
è il commissario Montalbano, il regista e interprete di uno spettacolo sul
rapporto tra arte e potere che appassiona il pubblico, La torre d'avorio di
Ronal Harwood (fino al 24 marzo al Teatro Eliseo) è un mediano mancato. Un vero
mediano, come quello cantato da Ligabue (con dei compiti precisi/a coprire
certe zone/a giocare generosi).
Zingaretti sorride: "È così: ero un mediano dotato, perfetto,
disciplinato, forte fisicamente. Facevo quello che mi diceva l'allenatore. Il
primo, Remone, non ammetteva repliche: "Anche se questo deve andare al
bagno non lo devi mai
mollare, capito?" e io eseguivo. Il secondo
allenatore, Formichetti, mi buttò nella mischia: "Luca, alza la testa e
gioca". Con lui ho iniziato veramente a fare il calciatore".
Mediano con la testa e col cuore. "Da ragazzino - racconta Zingaretti -
non ho mai conosciuto la febbre del sabato sera perché con i compagni andavamo
a letto presto, la domenica si giocava. Rispettavamo tutti le regole. Le nostre
conversazioni riguardavano il grasso con cui lucidare gli scarpini. Ricordo un
amico che si vantava perché il padre gli portava la sugna del macellaio, e
diventavano morbidissimi". Tutti i bambini sognano di diventare
calciatori, ma pochi riescono. "Sono finito a fare un mestiere diverso:
recito. Ma è quasi uguale... Il teatro è comunque un gioco di squadra. Da una
parte c'è l'allenatore, in scena c'è il regista; sono due che preparano gli
altri e poi non vanno in campo, ma decidono il destino dei giocatori (e degli
attori)".
Però Zingaretti recita, quindi gioca, entra in scena. "È vero, ma è sempre
un gioco di squadra, a me piace vederlo così. Uno pensa ai calciatori come a
undici cretini che corrono dietro il pallone, ma è un mondo affascinante: lo
spogliatoio, la voglia di farcela, le occasioni mancate. Chi l'ha vissuto lo
sa". Il calcio come metafora di vita, simile al cinema, dove in tanti
restano in panchina. Luca il mediano che sognava un futuro negli stadi - e
giocava bene - un giorno ha dovuto scegliere. "Perché tutte e due le cose,
giocare a calcio e recitare, non si potevano fare, perché gli allenamenti sono
una cosa seria" spiega l'attore. "Ho scelto l'Accademia d'arte
drammatica. Ma quegli anni tra la scuola e le corse per arrivare puntuale in
campo sono stati bellissimi. Se parliamo di gioia pura non c'è niente di
eguagliabile. In campo stavo bene; come tuffarsi sott'acqua e emergere un'ora e
mezza dopo. E prima di addormentarti negli occhi avevi le stesse immagini,
rivivevi la partita. Mi divertivano anche gli allenamenti, adesso ho una mia
squadretta".
Oggi che gira l'Italia con La torre d'avorio spiega che è più difficile
"ma nelle città di mare cerco sempre di andare a mangiare in spiaggia: c'è
sempre qualcuno che ha portato un pallone. Non resisto e mi avvicino: "Mi
fate giocare?". Puro divertimento. Per questo la degenerazione del calcio
mi fa arrabbiare. Un calciatore fa il mestiere che vorrebbero fare milioni di
ragazzini e lo insozza in quel modo? No, non si fa".
Oggi il tifoso Zingaretti ("romanista da sempre, non si cambia, come non
cambia la sofferenza, ogni tanto mi piacerebbe essere del Barcellona o del
Manchester") a cinquant'anni mantiene vivo il ragazzino che tirava calci e
ha conquistato la felicità. Grazie alla moglie Luisa Ranieri e alla figlia Emma
"che hanno cambiato il mio rapporto col mondo: con loro tutto ha assunto
un significato diverso".
Gli impegni di lavoro si accavallano: ha girato i nuovi episodi di Montalbano
(in primavera su RaiUno), ha interpretato Adriano Olivetti "un esempio che
fa sperare", ora c'è il teatro "con un lavoro importante, scritto
dallo sceneggiatore del film di Polanski Il pianista. Il testo racconta la
storia vera del grande direttore d'orchestra Wilhelm Furtwängler a Berlino nel
1946, la resa dei conti. Gli alleati hanno bisogno di vittime eccellenti.
Furtwängler non era stato esplicitamente nazista, però durante la guerra era
rimasto in patria sostenendo importanti incarichi pubblici: una posizione di
forte ambiguità. Io interpreto il maggiore che lo mette sotto accusa, Massimo
De Francovich è il direttore d'orchestra".
Il pubblico resta affascinato dalla sfida verbale, due mondi che si
confrontano: quello del militare e quello dell'artista: "La pièce è un
thriller dove il pubblico cerca di capire da che parte sta la ragione. Come
accade nei veri capolavori, ascolti chi parla e pensi che sicuramente abbia
ragione. Poi senti la difesa e ti sembra che la ragione stia dall'altra
parte". Il palcoscenico come un campo di battaglia, o un campo di calcio,
dove marcare l'avversario, battuta dopo battuta. "Mi piace la reazione del
pubblico, che partecipa e resta spiazzato dal finale".
Il mediano Zingaretti "forte e disciplinato" confessa che questo è un
momento particolare della sua vita: "Sono un'anima in pena, una persona
tormentata, ma sto vivendo un momento meraviglioso. Sono tornato a teatro e sto
scrivendo il mio nuovo film con Alfredo Arciero e Riccardo Russo. È una storia
che nasce della cronaca, quella di una donna napoletana che, per varie vicende
della vita, si trova da fare da baby sitter in una famiglia cinese. Il mondo si
ribalta, l'immigrazione cambia il volto del nostro Paese. Mi sembra un modo
interessante per raccontare l'amicizia tra due donne diversissime, la storia di
bambini venuti da un mondo lontano che oggi sono i nuovi
italiani".
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