da: Il Sole 24 Ore
Il
Lucio politico e finanziario
di Francesco
Prisco
Vi hanno raccontato un Lucio Dalla
originale interprete della canzone d'amore e appassionato ritrattista di
un'umanità di periferia. Vi hanno detto la verità, ma non tutta la verità: il
cantautore bolognese scomparso un anno fa ha declinato con eccezionale ironia
anche temi come politica, economia e persino finanza. Ve ne diamo prova in
dieci brani.
Brano tratto da «Il giorno aveva cinque
teste», album dal sapore progressive che segna l'inizio della collaborazione
con il poeta Roberto Roversi, «L'operaio Gerolamo» racconta con un tono un po'
enfatico di un manovale evidentemente meridionale che, per portare i soldi a
casa, gira l'Europa in treno, tra Torino, la Germania, la periferia di Parigi,
Milano, una mescita di vino, una baracca, la veglia per un collega morto («un
povero italiano/ il mio amico Luigi»). Finale tragico: «Povero operaio, povero
pastore, povero contadino/ s'alza il sole sui monti e sono morto e sotterrato./
S'alza il sole sui monti/ e un altro al mio posto è già arrivato».
Altro testo di Roversi, tratto dall'album
«Anidride Solforosa». Altro inarrivabile pezzo di bravura: su un
accompagnamento vagamente funky, il Lucio nazionale canta scat, alla maniera
dei grandi interpreti jazz, liriche che altro non sono altro che il bollettino
di una giornata a Piazza Affari negli anni Settanta: «Alimentari: Alimont/ meno
cinque/ o cinquanta. Così!/ Buton/ ahi! Meno dieci./ Bon. Ferraresi/ Motta/
Eridania/ Zuccheri Roma/ quarantacinque più». Effetto straniante sulle prime,
irresistibilmente comico più avanti. Da applausi.
Il tema delle condizioni di vita in carcere
non era evidentemente moneta corrente, a metà degli anni Settanta. Il tandem
compositivo Dalla-Roversi, però, viaggiava in controtendenza: «Mela da scarto»
parla di un carcere. E non di un carcere qualsiasi: quello minorile di Ferrante
Aporti, «Ferrante Aporti di Torino, Torino che è in Piemonte,/ laddove c'è un
monte/ che porta alla luna». Qualche reato comune, motivato dalla miseria, e ci
si arriva: «Dovevo starci tre mesi/ invece è passata una vita/ e la mia storia
non è ancora finita». Ma la speranza, per gli antieroi di Dalla, è sempre
l'ultima a morire.
«Automobili», ultimo lavoro a quattro mani
con Roberto Roversi (che per dissenso più avanti ritirerà la firma) si apre con
la leggendaria «Intervista con l'Avvocato». L'avvocato è ovviamente Gianni
Agnelli, cui si rivolge un preparatissimo giornalista del «Manchester Guardian»
che lo interroga. Su cosa? Sulla Fiat: «L'auto è in crisi profonda», già nel
1976. Fenomenale ed esilarante il numero in cui il Dalla-Avvocato rispondeva in
stile scat.
L'inizio della leggenda di Lucio Dalla si deva
all'album «Com'è profondo il mare», il primo in cui il Nostro scrive sia
musiche che testi. E che testi: «Treno a vela» ritrae una coppia di clochard -
padre e figlio - che vivono d'espedienti. «-Voglio un chilo di pane/ e un
fiasco di vino./ Le do in cambio il bambino/ che ho in più./ -Posso darle anche
un osso./ -Non mi piace è di cane/ M'è passata la fame». Inizio realista e
malinconico, finale tragico. O forse surreale, come fossimo in «Miracolo a
Milano». Commovente.
Altra perla proveniente da «Come è profondo
il mare», il brano potrebbe essere il seguito ideale di «Treno a vela». Nel bel
mezzo di Milano si dà la caccia a un clochard che ha commesso chissà quale
reato ed è scappato via con il figlio. Ne senti parlare dal punto di vista
(superficiale e razzist) degli avventori: «Dev'essere uno slavo/ che dorme e
ruba alla stazione/ con gli occhi senza luce:/ è senz'altro un mascalzone». Lo
spigoloso blues che sorregge il testo dà persino un tocco comico alla scena che
comica non sarebbe. Colpi che riescono soltanto ai maestri.
Ci voleva giusto un bolognese per tracciare
quello che probabilmente è il ritratto musicale più lucido e insieme
appassionato della capitale economica del Paese: la «Milano» di Dalla è un
posto bello e maledetto, dove hai tutto ma sembra che ti manchi qualcosa.
«Milano vicino all'Europa/ Milano che banche che cambi/ Milano gambe aperte/
Milano che ride e si diverte». Forse per i milanesi non sarà la migliore
canzone che sia mai stata composta sulla loro città ma molti non milanesi che
vivono la città sottoscriverebbero i seguenti versi: «Milano, ogni volta che mi
tocca di venire/ mi prendi allo stomaco, /mi fai morire./ Milano senza
fortuna,/ mi porti con te/ sotto terra o sulla luna».
L'album «Dalla» è quello della
consacrazione, dopo il successo di pezzi da novanta come «Com'è profondo il
mare» e l'omonimo. Si apre con un brano che si spaccia per leggero: «Balla
balla ballerino». Vuol essere quasi una boccata d'ossigeno dopo l'overdose di
impegno degli anni Settanta. Ma è apparenza: «Balla anche per tutti i violenti/
veloci di mano e coi coltelli, accidenti./ Se capissero vedendoti ballare di
essere morti da sempre anche se possono respirare». In profondità c'è una
sostanza che non è affatto leggera.
Probabilmente l'apice insuperabile del
talento compositivo di Dalla, «Futura» ruota intorno all'esperienza più
personale che esista: un amplesso per mettere al mondo il proprio avvenire. «E
se è una femmina si chiamerà/ Futura». Il bello è che il Lucio nazionale non
perde occasioni per infilarci (e dissacrare) qualche considerazione a margine
da Guerra fredda: «I russi, i russi/ gli americani». Perché per Dalla personale
e politico trovavano fatale coincidenza.
Un brano mistico, ma non troppo. Politico,
invece, parecchio: «Se io fossi un angelo (…)/ andrei in Afganistan / e più giù
in Sudafrica / a parlare con l'America/ e se non mi abbattono/ anche coi russi
parlerei . Angelo se io fossi un angelo/ con lo sguardo biblico li fisserei/ vi
do due ore, due ore al massimo/ poi sulla testa vi piscerei». Questo era
l'impegno per il Dalla più maturo: accostarsi in punta di piedi ai temi e
pungere. Armi con le quali hai ottime probabilità di arrivare più lontano che
con i tradizionali comizi cantautorali.
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