lunedì 4 marzo 2013

4 marzo 2013, un anno dopo: il Lucio Dalla politico e finanziario


da: Il Sole 24 Ore

Il Lucio politico e finanziario
di Francesco Prisco



Vi hanno raccontato un Lucio Dalla originale interprete della canzone d'amore e appassionato ritrattista di un'umanità di periferia. Vi hanno detto la verità, ma non tutta la verità: il cantautore bolognese scomparso un anno fa ha declinato con eccezionale ironia anche temi come politica, economia e persino finanza. Ve ne diamo prova in dieci brani.

Brano tratto da «Il giorno aveva cinque teste», album dal sapore progressive che segna l'inizio della collaborazione con il poeta Roberto Roversi, «L'operaio Gerolamo» racconta con un tono un po' enfatico di un manovale evidentemente meridionale che, per portare i soldi a casa, gira l'Europa in treno, tra Torino, la Germania, la periferia di Parigi, Milano, una mescita di vino, una baracca, la veglia per un collega morto («un povero italiano/ il mio amico Luigi»). Finale tragico: «Povero operaio, povero pastore, povero contadino/ s'alza il sole sui monti e sono morto e sotterrato./ S'alza il sole sui monti/ e un altro al mio posto è già arrivato».


Altro testo di Roversi, tratto dall'album «Anidride Solforosa». Altro inarrivabile pezzo di bravura: su un accompagnamento vagamente funky, il Lucio nazionale canta scat, alla maniera dei grandi interpreti jazz, liriche che altro non sono altro che il bollettino di una giornata a Piazza Affari negli anni Settanta: «Alimentari: Alimont/ meno cinque/ o cinquanta. Così!/ Buton/ ahi! Meno dieci./ Bon. Ferraresi/ Motta/ Eridania/ Zuccheri Roma/ quarantacinque più». Effetto straniante sulle prime, irresistibilmente comico più avanti. Da applausi.

Il tema delle condizioni di vita in carcere non era evidentemente moneta corrente, a metà degli anni Settanta. Il tandem compositivo Dalla-Roversi, però, viaggiava in controtendenza: «Mela da scarto» parla di un carcere. E non di un carcere qualsiasi: quello minorile di Ferrante Aporti, «Ferrante Aporti di Torino, Torino che è in Piemonte,/ laddove c'è un monte/ che porta alla luna». Qualche reato comune, motivato dalla miseria, e ci si arriva: «Dovevo starci tre mesi/ invece è passata una vita/ e la mia storia non è ancora finita». Ma la speranza, per gli antieroi di Dalla, è sempre l'ultima a morire.

«Automobili», ultimo lavoro a quattro mani con Roberto Roversi (che per dissenso più avanti ritirerà la firma) si apre con la leggendaria «Intervista con l'Avvocato». L'avvocato è ovviamente Gianni Agnelli, cui si rivolge un preparatissimo giornalista del «Manchester Guardian» che lo interroga. Su cosa? Sulla Fiat: «L'auto è in crisi profonda», già nel 1976. Fenomenale ed esilarante il numero in cui il Dalla-Avvocato rispondeva in stile scat.

L'inizio della leggenda di Lucio Dalla si deva all'album «Com'è profondo il mare», il primo in cui il Nostro scrive sia musiche che testi. E che testi: «Treno a vela» ritrae una coppia di clochard - padre e figlio - che vivono d'espedienti. «-Voglio un chilo di pane/ e un fiasco di vino./ Le do in cambio il bambino/ che ho in più./ -Posso darle anche un osso./ -Non mi piace è di cane/ M'è passata la fame». Inizio realista e malinconico, finale tragico. O forse surreale, come fossimo in «Miracolo a Milano». Commovente.

Altra perla proveniente da «Come è profondo il mare», il brano potrebbe essere il seguito ideale di «Treno a vela». Nel bel mezzo di Milano si dà la caccia a un clochard che ha commesso chissà quale reato ed è scappato via con il figlio. Ne senti parlare dal punto di vista (superficiale e razzist) degli avventori: «Dev'essere uno slavo/ che dorme e ruba alla stazione/ con gli occhi senza luce:/ è senz'altro un mascalzone». Lo spigoloso blues che sorregge il testo dà persino un tocco comico alla scena che comica non sarebbe. Colpi che riescono soltanto ai maestri.

Ci voleva giusto un bolognese per tracciare quello che probabilmente è il ritratto musicale più lucido e insieme appassionato della capitale economica del Paese: la «Milano» di Dalla è un posto bello e maledetto, dove hai tutto ma sembra che ti manchi qualcosa. «Milano vicino all'Europa/ Milano che banche che cambi/ Milano gambe aperte/ Milano che ride e si diverte». Forse per i milanesi non sarà la migliore canzone che sia mai stata composta sulla loro città ma molti non milanesi che vivono la città sottoscriverebbero i seguenti versi: «Milano, ogni volta che mi tocca di venire/ mi prendi allo stomaco, /mi fai morire./ Milano senza fortuna,/ mi porti con te/ sotto terra o sulla luna».

L'album «Dalla» è quello della consacrazione, dopo il successo di pezzi da novanta come «Com'è profondo il mare» e l'omonimo. Si apre con un brano che si spaccia per leggero: «Balla balla ballerino». Vuol essere quasi una boccata d'ossigeno dopo l'overdose di impegno degli anni Settanta. Ma è apparenza: «Balla anche per tutti i violenti/ veloci di mano e coi coltelli, accidenti./ Se capissero vedendoti ballare di essere morti da sempre anche se possono respirare». In profondità c'è una sostanza che non è affatto leggera.

Probabilmente l'apice insuperabile del talento compositivo di Dalla, «Futura» ruota intorno all'esperienza più personale che esista: un amplesso per mettere al mondo il proprio avvenire. «E se è una femmina si chiamerà/ Futura». Il bello è che il Lucio nazionale non perde occasioni per infilarci (e dissacrare) qualche considerazione a margine da Guerra fredda: «I russi, i russi/ gli americani». Perché per Dalla personale e politico trovavano fatale coincidenza.

Un brano mistico, ma non troppo. Politico, invece, parecchio: «Se io fossi un angelo (…)/ andrei in Afganistan / e più giù in Sudafrica / a parlare con l'America/ e se non mi abbattono/ anche coi russi parlerei . Angelo se io fossi un angelo/ con lo sguardo biblico li fisserei/ vi do due ore, due ore al massimo/ poi sulla testa vi piscerei». Questo era l'impegno per il Dalla più maturo: accostarsi in punta di piedi ai temi e pungere. Armi con le quali hai ottime probabilità di arrivare più lontano che con i tradizionali comizi cantautorali.

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