martedì 12 marzo 2013

Cinema, in primo piano: La cuoca del Presidente




La cuoca del Presidente di Christian Vincent
commedia, biografico, Francia (2012)

di Paolo A.D’Andrea
Hortense Laborie (C. Frot), donna genuina e risoluta, ha trovato impiego come cuoca presso una remota stazione di ricerca francese sulle Isole Crozet, un inospitale arcipelago sito a ridosso della regione antartica. Anni prima però la talentuosa chef aveva addirittura lavorato all'Eliseo come responsabile della cucina privata del Capo di Stato (l'anziano scrittore J. D'Ormesson, all'esordio): un'esperienza che l'ha resa celebre, ma sulla quale preferisce costantemente sorvolare nonostante l'insistenza di molti, stampa compresa. Al 55 di rue du Saint Honoré - nomen omen -, infatti, Hortense si era guadagnata l'amicizia e la stima del Presidente in persona grazie ai suoi piatti rustici e tradizionali, ma aveva dovuto anche affrontare le gelosie dei colleghi e le imposizioni di un ambiente troppo legato all'etichetta e all'apparenza per accogliere uno spirito schietto e creativo come il suo.
Ispirato alla storia vera di Danièle Delpeuch, chef personale del presidente François Mitterrand per un biennio fra il 1988 e il 1990, "La cuoca del presidente" - decisamente più valido il titolo originale, "Les saveurs du Palais" - è un film di cui si fatica a comprendere la necessità. Se l'idea di riportare
sul grande schermo la cucina e i suoi segreti, in tempi in cui l'imperversare di talent show e rubriche televisive in tema si fa via via piú asfissiante, ha infatti una sua ragione commerciale, molto meno comprensibile è la ragione artistica che si cela dietro ad un prodotto di questo tipo. È una commedia? Forse qua e là lo vorrebbe essere, ma non strappa l'ombra di un sorriso. È un piccolo dramma? Se sí, è troppo improbabile e semplicistico per cogliere nel segno.
Quel che resta allo spettatore della pellicola è soprattutto il bombardamento di ricette, prodotti tipici, metodi di cottura, condimenti eccentrici ed elettrodomestici mai visti cui viene sottoposto da un copione quasi ossessivo nella sua insistenza. Piú che una sceneggiatura sembra un trattato in tema. E dopo mezz'ora di cassolette di lumachine alla Nantaise, gallinacci in fricassea, manzi dei Marinai del Rodano, patate Julia e peti di suora (sic) è un'autentica sfida mantenere inalterato il livello di attenzione, anche per un appassionato dell'argomento. Pare quasi che la cucina - incontrastata protagonista del film - assuma una valenza esistenziale tale da esercitare un'influenza totalizzante sulle vite dei personaggi; ed è cosí che il momento di maggiore pathos si ha quando la povera Hortense si vede eliminare dal menu ufficiale l'imprescindibile "giuncata di Roquefort", e il colpo di scena piú sconvolgente lo causa il Presidente che si permette di ordinare a pranzo iniziato un vassoio di ostriche fuori programma. La tragedia, poi, è dietro l'angolo quando arriva dall'alto l'ordine di limitare per motivi di salute i condimenti sulle portate presidenziali. Robe da matti.
Dietro tale parossistica ridondanza fa capolino un fiacco elogio della vita semplice, che il regista propugna tramite contrapposizioni esili ed intuitive: la pace incontaminata delle isole antartiche in antitesi alla frenesia delle stanze del Potere - che, sembra voler far intendere senza troppa convinzione il regista, è uguale a sé stesso oggi come trecento anni fa -, il cibo genuino di una volta di contro agli assurdi arzigogoli della cucina moderna, il grigio apparato burocratico del Palazzo opposto alla gente calorosa e di poche pretese della sperduta stazione di ricerca. La stucchevolezza d'insieme non risparmia nemmeno i personaggi di contorno: se il Presidente è descritto come un sene dal cuore d'oro che rimpiange le libagioni infantili dalla nonna, disposto a rimandare un volo di Stato come niente fosse per disquisire di foie gras e antiche prelibatezze, l'antagonista non poteva che essere un cuoco grasso e arrogante (B. Fournier), guarda un po' nemmeno tanto bravo nel suo mestiere. Non manca nel campionario neppure il ragazzotto-discepolo (A. Dupont) simpatico e di belle speranze. Con al centro fornelli e Francia riusciva ad essere paradossalmente più adulto Ratatouille.
Insomma: qual è lo scopo di un film come questo? Troppo monotono e serioso per puntare al puro intrattenimento, troppo facile e leggero per aspirare ad uno spessore di fondo, "La cuoca del presidente" è cinema che si autofagocita e scompare, senza lasciar traccia. Corretto dal punto di vista formale, confezionato con discreta e piatta professionalità, può contare su un cast funzionale. Ciò non toglie che l'impressione finale sia quella di un titolo decisamente più adatto ad un palinsesto televisivo che ad una sala cinematografica. Per sentirsi dire, d'altronde, che il massimo della vita è scovare un tartufo sotto un albero - questa l'illuminante chiosa finale - bastava e avanzava il vecchio tubo catodico. O un amico ubriaco.

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