da: la Stampa
La
grandeur di Renato Zero con "Amo"
14
canzoni, tre produttori, ceralacca
di Marinella
Venegoni
Alla fine si riparte sempre dal Piper, la
culla dei sogni e dei desideri realizzati. Girata la boa dei Sessanta, Renato
Zero è ben lontano dal demordere, e con un guizzo d’orgoglio sceglie il locale
storico romano dove le sue ambizioni presero forma. Raccoglie intorno a sé Lilli
la vecchia portiera e Brunetto che fu primo ballerino di Rita Pavone, per
raccontare «Amo», album in uscita il 12 marzo che è come un romanzo in ben 14
canzoni-capitoli: passioni, ritratti, riflessioni, ricordi, rampogne e prediche
ai connazionali scorrono sontuosamente registrati in vari luoghi e con varie
formazioni musicali da ben tre produttori (Trevor Horn, Celso Valli, e Danilo
Madonia), cosa non frequente nel nostro piccolo mondo antico. Da quando s’è
messo in proprio, Renatino si fa dei regali di lusso: la copertina dell’album
ha la ceralacca, ma il più grande auto-dono sarà certo stato Trevor Horn,
celebrato bassista e producer tra gli altri di Genesis e McCartney. Se lo è
portato fino al Piper, con l’altra star della chitarra Phil Palmer e un corpo
di ballo di 14 elementi, per uno show-vetrina dell’opera.
Trevor Horn ha lavorato sulla parte meno
prevedibile dell’album, a partire da un singolo un po’ così, quel «Chiedi di
me» che fa da civetta con le sue atmosfere da musical Anni ‘70 e rivela
soprattutto la fantasia creativa di Horn. Fin da qui, nei testi Zero si
ripropone come consigliere e istigatore di sicurezze e piccoli ardimenti
personali. Poi parte il treno delle melodie, e anche dell’autocelebrazione:
«Una canzone da cantare avrai» è come un abbecedario del suo mondo, dove
ricorda gli esordi tribolati, le certezze del presente («Mi fa bene osservare
la vita passare/Apprezzando e godendo ogni cosa che ho») e persino i suoi
trucchi creativi («Segno tutto/Ogni lacrima o movimento... e quando manca
atmosfera invento»).
Un brano assai ascoltato, con la chitarra
acustica killer di Palmer e lieve melodia contagiosa, sarà «Il nostro mondo»,
uno di quegli appelli ai buoni sentimenti che gli riescono bene nella sua
grandeur. Ma si rincorrono altre scelte felici: «Un’apertura d’ali», elegia
inedita dello scomparso Bigazzi dall’elegante arrangiamento di Celso Valli,
cantata con misurato trasporto. Musiche di tradizione, ché questo (malgrado le
bandiere di trasgressione) è poi il suo mondo vero. Come un pezzo di musical,
con tanto di coro, suona la divertente «Dovremmo imparare a vivere», che canta
il carattere italiano e i suoi vizi eterni («Raccomandato fottiti/Ritorna a
casa tua»). Sorcinesco l’inevitabile parere sul caso Grillo: «Gli esempi
mancano in questo Paese, sono sempre mancati e ora per interpretare la tanta
disperazione può anche arrivare un clown, checché ne dicano i tedeschi che
c’hanno fatto solo piagne. Grillo è un vento favorevole, qualcuno che
scherzando e ridendo ci ha dimostrato come per certi ruderi sia tempo di andare
a casa».
Nel capitolo ritratti, ecco «Angelina», la
portinaia che fu una specie di palo alle sue ansie giovanili, e «Lu» dedicata a
Lucio Dalla, appena cantata a Bologna: «Lo conobbi alla RCA su un’ascensore con
Melis, aveva un’arancia in testa. Dicevano che era un genio. Per me un
fratello. Volevo incontrare uno così, e quando ho scoperto che c’era è stata
vittoria».
Quel «Capitolo 1» scritto sotto al titolo
«Amo» sta intanto a mostrare che c’è un prossimo volume pronto, con tra l’altro
inediti di Trovajoli. Renatino ad appendere le scarpe al chiodo non pensa, ha
anche rifiutato il ruolo di coach a The Voice: l’appuntamento live è ora per
almeno 15 concerti al Palalottomatica di Roma, dal 27 aprile. Farà il resident
artist a casa sua, come Cèline a Las Vegas. I biglietti sono in vendita.
Nessun commento:
Posta un commento