Giuseppe Tornatore:
Berlusconi non ha nessuna chance di vincere, gli italiani hanno capito. Bersani
è serio e responsabile
di
Barbara Tomasino
“Fino a quando c’era Berlusconi eravamo la
barzelletta del mondo, ovunque andavi appena dicevi che eri italiano già
ridevano. Dopo pochi mesi dall’arrivo del governo Monti le cose sono cambiate e
quel sentimento di rispetto, di ammirazione, che l’Italia ha sempre goduto è
ritornato, forse non come prima, ma poiché si veniva fuori da un momento così
disastroso a me è sembrato più forte. Da paese sbeffeggiato siamo diventati il
simbolo di un paese che sull’orlo del baratro riesce a trovare soluzioni
adeguate sia pure a costi molto pesanti”. Queste sono le riflessioni del regista
premio Oscar Giuseppe Tornatore, da pochi giorni nelle sale con
il suo nuovo film, La migliore offerta, sul ruolo dell’Italia oggi
nel contesto internazionale dopo l’esperienza dei tecnici, in un momento
delicato in cui il paese si avvia ad eleggere il governo che lo guiderà per i
prossimi cinque anni. Che sicuramente non vedrà Berlusconi premier: "Credo
che non abbia nessuna chance di essere rieletto perché il popolo italiano ha
capito fino in fondo tutto ciò che il Cavaliere era in grado di fare per il
nostro paese, e il bilancio è sotto gli occhi di tutti".
Dopo le polemiche suscitate da Berlusconi all’epoca di Baarìa, torna al cinema dopo tre anni con un film che non affronta nessun tema politico e non è prodotto dalla Medusa, con cui ha lavorato per diversi anni…è solo una coincidenza?
E’ assolutamente casuale, la mia è una
filmografia zigzagante, cambio temi di continuo: a volte mi piace restare più
legato all’attualità, poi invece mi dedico a cosa più astratte, dipende dai
progetti che catturano la mia attenzione. In quanto alla Medusa, i miei
rapporti con la casa di produzione sono eccellenti, semplicemente il mio
contratto si era esaurito e io nel frattempo avevo assunto altri impegni. Riguardo alle polemiche
relative a Baarìa non ne voglio più parlare, se n’è parlato pure troppo:
il film esiste, è lì, chi vuole continuare a guardarlo in malafede, può
seguitare a indicarlo solo come il film che era piaciuto persino al Cavaliere e
dove si uccideva un vitello; chi ha un occhio onesto potrà guardare Baarìa per
quello che effettivamente è, e non devo certo essere io a dirlo.
In
tutti questi anni, complice forse il rapporto sinergico con la Medusa, lei è
stato portato avanti in una certa misura dal Cavaliere come una specie di
orgoglio di casa, l’ha infastidita questo atteggiamento?
Ma non è assolutamente così. Io e la Medusa
abbiamo felicemente collaborato per alcuni anni, abbiamo realizzato insieme
quattro film, ma questo rapporto non comportava in nessun modo l’obbligo di
aderenza a posizioni politiche che invece ci trovavano su fronti diversi.
Lavoravo con Medusa e tornerei a farlo perché mi lasciavano completamente
libero di essere fedele alle mie idee, del resto se non fosse stato così non
avrei potuto lavorare con loro e questo vale anche nel caso di committenti
afferenti alla mia stessa area politica. Purtroppo c’è gente che ama troppo
provocare e sporcare il lavoro degli altri mettendo in giro equazioni assurde:
se Tornatore fa film con la Medusa allora s’è messo con Berlusconi, se
Bertolucci fa un film con la Medusa allora è d’accordo con Berlusconi, se Virzì
e Sorrentino lavorano con Medusa sotto sotto gli sta bene quell’idea politica…
Spazzatura, niente di più.
Un’equazione
parecchio forzata…lo stesso Saviano ha pubblicato con Mondadori e sfido
chiunque ad affermare che sia d’accordo con il Cavaliere…
Esatto, non ha senso…ma purtroppo questo è
un tema di cui si è discusso a lungo e mi dispiace che se ne discuta ancora.
Che
opinione si è fatto del ritorno in campo di Berlusconi?
Non ne penso assolutamente niente, anche se
non sono affatto stupito. Credo – benché il nostro paese ci abbia abituato a
continue sorprese – che non abbia nessuna chance di essere rieletto perché il
popolo italiano ha capito fino in fondo tutto ciò che il Cavaliere era in grado
di fare per il nostro paese, e il bilancio è sotto gli occhi di tutti.
Cambiando
sponda, il centrosinistra sembra godere di una seconda giovinezza grazie ad un
momento particolarmente frizzante che vede coinvolte diverse
realtà: Vendola, i magistrati come Grasso e Ingroia, i “Renziani” e Bersani
come collante…che idea si è fatto?
Il centrosinistra gode di un’energia
ritrovata che per me non è un lampo a ciel sereno, la sinistra ha sempre avuto
un passo diverso e quindi non sono per nulla sorpreso. Sono gli italiani che
per troppi anni sono andati dietro alle lucette e alle ballerine, che oggi
scoprono quanta gente seria e onesta ci sia nel nostro paese, gente che fa la
politica non soltanto per soddisfare il proprio narcisismo o mettere in mostra
il proprio carisma. Gli italiani spero si siano resi conto che affidare le
proprie sorti solo al carisma, alla capacità di saper stare davanti alle telecamere,
all’astuzia di saper gestire i propri interessi personali, non porta da nessuna
parte. Sono stanco di sentir dire, quando si giudicano i politici, “quello è
bravo, ma non ha carisma”, sono stufo di sentire parlare dei politici come se
si stesse facendo il casting di uno show televisivo. Ci vuole gente onesta e
seria, non belle facce truccate e capaci solo di sfoderare sorrisi… Fino a
qualche tempo fa sentivi le persone fare commenti assurdi, ad esempio su
Bersani: “E’ una brava persona, si vede che è uno onesto, però…”,
sottintendendo con quel “però” che non aveva il necessario charme televisivo.
Il fatto è che negli ultimi 30 anni, salvo brevi intervalli, l’Italia ha voluto
essere governata da chi non doveva essere né onesto né perbene, ma solo furbo,
capace di strappare buoni indici d’ascolti con frasi ad effetto studiate a
tavolino lontane dalla sostanza della realtà. Invece abbiamo bisogno di persone
serie e responsabili.
Lei
ritiene che Bersani sia questo tipo d’uomo, quello che serve al paese?
Ne sono convinto proprio perché ho sentito
dire troppe volte: “si vede che è perbene, che è onesto, però…”. Che vuol dire
“però” ? Cancelliamolo quel “però”.
E
dei magistrati che chiedono l’aspettativa per entrare il politica che ne pensa?
Siamo un paese libero e se un magistrato
ritiene ad un certo punto della propria carriera di poter dare un contributo
alla politica, ha il diritto di farlo e noi abbiamo il dovere di prenderne
atto.
Forse
Berlusconi non aveva tutti i torti quando affermava che la maggior parte della
magistratura era schierata a sinistra…
Mi complimento con lei per l’abilità nel
tessere le domande, ma due magistrati non sono la maggioranza della
magistratura…
Eppure
Magistratura Democratica conta al suo interno parecchi membri, certo non tutti
sono entrati in politica, ma sono comunque schierati a sinistra…
Non ci trovo niente di disdicevole. In un
paese in cui si ha bisogno di un rinnovamento radicale posso capire che un
magistrato esperto in lotta alla criminalità avverta il bisogno di affrontare
gli stessi temi da un’altra prospettiva e magari senta la necessità di mettere
la propria esperienza al servizio della società entrando in politica.
Berlusconi ha avuto il diritto di scendere in campo. Perché lo stesso diritto
non deve essere riconosciuto a chi sul fronte della lotta contro la corruzione
e la criminalità può dare contributi decisivi?
Un
commento su Grillo e il M5s?
Non ho molto da dire, posso ripeterle a
pappagallo, come fanno in molti, che il suo movimento rappresenta sicuramente
dei disagi reali, da non sottovalutare, e così via… Però non mi piace. Capisco
che anche lui abbia il diritto di fare politica, del resto per più di 20 anni
l’ha fatto un uomo della televisione, può farlo anche un comico, sono aperto a
tutto, ma a parte ciò non ho molto da aggiungere… non mi piace il suo stile. E’
troppo facile in un momento come questo gridare in piazza facendo leva sulla
disperazione della gente che ti applaude e ti dice bravo, è un populismo che
può mettere in piedi chiunque guadagnando sempre apparenti consensi.
Negli
ultimi giorni si è parlato molto di personaggi di rilievo della cultura e dello
spettacolo che hanno spostato la propria residenza fiscale in altri paesi per
ovviare all’aumento delle tasse imposto dai propri governi, in particolare
Calatrava in Spagna e Depardieu in Francia. Lei che è un personaggio di primo
piano del cinema italiano, considerato che anche da noi le tasse sono ingenti,
che opinione si è fatto a riguardo?
Fatico molto a dare un’opinione perché mi
sembra di entrare in una sfera privata di persone che noi dall’esterno forse
non possiamo capire del tutto. Posso solo dire cosa succede a me: io faccio un
film quando posso, non ne faccio continuamente, e di quello che guadagno quasi
il 60% se ne va in tasse. Ritengo che la nostra legge fiscale sia molto
ingiusta nei confronti della gente dello spettacolo, ad esempio non abbiamo il
diritto di scaricare quasi nulla delle spese che sosteniamo. Non escludo che
situazioni del genere possano creare un disagio tale da far prendere decisioni
di quel tipo, anche se personalmente non l’ho mai fatto, ma non per questo mi
permetto di giudicare. Considerato che Gerard lo conosco, anche perché abbiamo
lavorato insieme, non posso pensare che l’abbia fatto per un colpo di testa, avrà
avuto ragioni che probabilmente noi non sapremo mai.
Forse
pagare il 60% di tasse sul proprio lavoro non rende un senso di giustizia…
Ritengo che sia giusto pagare le tasse, ma
trovo altresì ingiusto che si pensi allo spettacolo come ad un mondo di eterna
ricchezza da taglieggiare a più non posso. Nel nostro lavoro si sgobba tanto,
qualsiasi regista – di successo o esordiente – per mettere in piedi un film
fatica non poco, ma si è visti ancora come rappresentanti di uno stato di lusso
a cui dare addosso, ecco questo mi lascia perplesso e mi dispiace. C’è tanta
gente che fa questo lavoro per amore del mestiere e non perché si guadagni più
chissà quanto. Tanti rischiano i propri patrimoni per mettere in piedi un film,
ma nessuno se ne cura; però se le cose vanno bene sono guai… Le dirò di più: mi
sta anche bene restituire allo stato il 60% del mio reddito, ma che sia almeno
semplice farlo. E invece è uno stillicidio continuo, si vive costantemente in
un linguaggio volutamente macchinoso e incomprensibile, tra commercialisti,
consulenti, controlli, multe, conguagli, ricognizioni, commissioni tributarie,
commissioni di controllo, ricorsi, appelli, fiscalisti e avvocati d’ogni tipo…
una cosa mostruosa. Quanto tempo perduto!
Le
stime per il 2013 parlano di un prossimo futuro ancora preda della crisi e un
dato significativo rileva che il nuovo anno è stato salutato da circa un
milione di spettatori in più per il consueto show di San Silvestro condotto da
Carlo Conti su Rai1. Quali sono il ruolo e il destino dell’industria
dell’intrattenimento in un periodo di profonda crisi?
In un periodo come questo l’industria
dell’intrattenimento ha un ruolo ancora più importante che in tempi normali: la
gente non ha soldi per uscire e rimane a casa a guardare la televisione, che
così assolve ad un compito fondamentale, anche se essendo lo specchio di un
paese che attraversa una forte crisi, anche la Tv ha meno mezzi per realizzare
prodotti di qualità. Quindi chi non ha soldi per uscire e divertirsi deve
abituarsi ad un intrattenimento spesso scadente, e questo porta ad un
moltiplicarsi di aspetti negativi che portano la nostra società a vivere in un
clima d’incertezza psicologica, perché la crisi non è solo economica. Se una
famiglia non ha la possibilità di andare qualche giorno in vacanza resta chiusa
in casa a girare i canali della Tv senza trovare niente di interessante, ma
solo quiz e talk show tutti uguali e privi di valori, invece la televisione
dovrebbe cogliere quest’occasione e fare un balzo in avanti nell’offrire una qualità
superiore del prodotto. Nel mondo del cinema in particolare è venuta a mancare
una delle tradizionali sicurezze: fino ad alcuni anni fa si diceva che in epoca
di crisi economica il cinema sarebbe stato favorito, perché trattandosi dello
spettacolo più economico la gente si sarebbe riversata nelle sale, oggi non è
più così, tanto è vero che durante le feste si sta registrando un calo del 25%
di presenze rispetto all’anno scorso. Questo significa che non solo la gente
non ha i soldi per andare in vacanza, ma talvolta neanche per andare al cinema.
Se si fa un rapido conto, con biglietti che variano dai 7 ai 10 euro, una
famiglia di quattro persone tra ingresso, parcheggio, gelati e popcorn, spende
circa 70 euro per una serata al cinema e molti oggi questo lusso non possono
permetterselo. Ciò crea spazi formidabili per i pirati dell’audiovisivo. Ecco
bisognerebbe avere il coraggio di abbassare il costo del biglietto al cinema,
di articolare le fasce di prezzo a seconda degli orari degli spettacoli, e soprattutto
decidersi una buona volta a promulgare le leggi adatte a distruggere la
pirateria.
La tradizione
cinematografica italiana rischia di scomparire lentamente?
Finanziamenti non ce ne sono, il tax credit
si rinnova a fatica, il fondo di garanzia è sempre più esiguo, non si fa niente
per incentivare la gente ad andare al cinema, non si fa niente per incentivare
la produzione: è ovvio che la quantità di film prodotti è sempre minore, la
qualità fatalmente sempre più bassa perché i costi si restringono troppo e la
gente non è stimolata ad andare nelle sale. Così il settore finisce per
soffrire troppo e le nostre sale diventano palcoscenico esclusivo delle
produzioni americane che, per quanto anch’esse in crisi, hanno alle spalle una
struttura molto più solida della nostra e sanno offrire un prodotto più
popolare e competitivo.
Nonostante
la crisi l’industria dello spettacolo negli Stati Uniti viene salvaguardata più
che in Italia?
Non c’è bisogno di andare così lontano, basta vedere come hanno affrontato un momento così critico i nostri cugini francesi, che il loro cinema se lo sono sempre difeso con il pugnale tra i denti. Sono stati bravissimi a difendere un patrimonio così importante anche nei periodi difficili, riuscendo a renderlo sempre vitale e attrattivo, mantenendo l’arco espressivo del linguaggio cinematografico sempre il più vasto possibile. In Italia negli ultimi anni i produttori si sono convinti che gli unici film che funzionano sono le commediole di stampo generazionale e quindi si fanno solo quelle, poi ogni tanto spunta una pellicola un po’ più complessa e subito viene etichettata come film d’autore, così da ghettizzarla in partenza. In Francia c’è una varietà di proposta tale da rendere quella cinematografia più capace di difendersi, mentre in Italia su 50 film prodotti almeno 40 sono commedie di quel tipo e questa mancanza di varietà ci rende più deboli.
Non c’è bisogno di andare così lontano, basta vedere come hanno affrontato un momento così critico i nostri cugini francesi, che il loro cinema se lo sono sempre difeso con il pugnale tra i denti. Sono stati bravissimi a difendere un patrimonio così importante anche nei periodi difficili, riuscendo a renderlo sempre vitale e attrattivo, mantenendo l’arco espressivo del linguaggio cinematografico sempre il più vasto possibile. In Italia negli ultimi anni i produttori si sono convinti che gli unici film che funzionano sono le commediole di stampo generazionale e quindi si fanno solo quelle, poi ogni tanto spunta una pellicola un po’ più complessa e subito viene etichettata come film d’autore, così da ghettizzarla in partenza. In Francia c’è una varietà di proposta tale da rendere quella cinematografia più capace di difendersi, mentre in Italia su 50 film prodotti almeno 40 sono commedie di quel tipo e questa mancanza di varietà ci rende più deboli.
Ritornando agli Stati Uniti e alle
riflessioni sulla Tv, la crisi del cinema americano si evince dal ruolo
predominante che hanno conquistato le serie televisive nell’immaginario
collettivo; ma è pur vero che il prodotto televisivo statunitense è sempre più
sofisticato, costruito nei minimi dettagli – anche grazie ai volti noti spesso
rubati al grande schermo - in modo impeccabile.
Perché
in Italia non si fa, quasi mai, un prodotto televisivo davvero concorrenziale
al cinema?
Intanto fare un confronto con un’industria
cinematografica che è la seconda industria di quel paese, quando da noi il
settore cinema non credo sia nemmeno contemplato nella lista delle industrie
forti, non ha molto senso. Lì hanno capito che certe tematiche che il pubblico
cinematografico non sa più consumare vanno veicolate attraverso il mezzo
televisivo, ma realizzando prodotti di altissima qualità; invece da noi il
concetto di fiction – salvo casi eccezionali – è inteso come far matrimoni coi
fichi secchi. A volte vedi delle storie potenzialmente molto significative ma
realizzate con niente e quindi inevitabilmente di pessima qualità. Il nostro
pubblico va rispettato, invece da un lato lo si costringe a continui sacrifici
e a ridurre il ventaglio d’agi della propria esistenza quotidiana, d’altro
canto gli si offre un intrattenimento che spesso tradisce ogni aspettativa. Il
risultato è una società che entra in uno stato di cronica depressione. E per un
paese dalla tradizione culturale antica e profonda come la nostra, questo non è
un bene.
In
conclusione, c’è secondo lei spazio oggi per un impegno politico nella
cinematografia italiana?
C’è sempre lo spazio per fare qualunque
tipo di film e visto che il nostro cinema è sempre stato sensibile ai temi
della politica e della società civile, è ovvio che difficilmente potrà perdere
questo tipo di pulsione. D’altra parte la congiuntura economica che sta vivendo
il nostro cinema rende tutto più difficile. Certi temi vengono affrontati
quotidianamente dalla Tv e per questo il grande schermo fa fatica ad
affrontarli. Del resto il cinema non deve limitarsi alla riproposizione dei
fatti di cronaca, deve andare oltre, avere un approccio più profondo.
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