Gli
italiani che leggono sono sempre meno. I dati del rapporto Nielsen sono
allarmanti. Invece di cercare i colpevoli sarebbe più utile capire cosa si può
fare. Si scoprirebbe che un aiuto può venire anche da tv e social network
Il Centro per il libro e la lettura (Cepell)
diretto da Gian Arturo Ferrari è un istituto autonomo del Ministero dei Beni
Culturali che ha lo scopo di “divulgare il libro e la lettura in Italia”. Il
Cepell ha commissionato a Nielsen (società di sondaggi e indagini di mercato)
uno studio per comprendere lo stato dell’editoria in Italia. Quanti libri
vengono venduti? Quanti ne vengono letti? Chi li compra? Chi li legge? Più
uomini o più donne? E quali sono le fasce d’età in cui si legge di più?
Il risultato è un documento
interessantissimo – molti non a torto lo definiscono preoccupante – “L’Italia
dei libri 2011-2013″. Chi scrive libri, chi insegna, chi fa televisione, chi ha
il compito di educare, fosse anche solo i propri figli, ha il dovere di
conoscerlo. Ma in un paese dove la dispersione scolastica è ancora alta e
soltanto il 20 per cento della popolazione adulta possiede gli strumenti minimi
indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per comprendere
testi
più complessi, siamo certi che sia sufficiente lanciare un allarme? Siamo certi
che non sia invece necessario analizzare, ciascuno nel proprio ambito, cosa sia
possibile fare per avvicinare alla lettura chi non prende in considerazione
l’ipotesi di immergersi in un libro per mancanza di tempo o possibilità?
Chi mi legge in questo momento stenterà a
credere che ci siano persone che non riescono a seguire un testo quando usa – e
la letteratura sempre lo fa – vocaboli appropriati, talvolta complessi; quindi
non stupiamoci se in Italia si legge poco. Non stupiamoci e non perdiamo tempo
prezioso in una sterile caccia al colpevole. A scuola maestri e professori ce
la mettono tutta, ma poi c’è la famiglia. E anche lì, il lavoro,
l’organizzazione frenetica del quotidiano, magari il mutuo: tutto è talmente
complicato che l’educazione alla lettura passa necessariamente in secondo
piano. Ecco allora che anche chi fa cultura deve assumersi necessariamente
delle responsabilità e deve farlo sapendo che può fornire un necessario
supporto, quando scuola e famiglia da sole non bastano.
Non ho sondaggi cui riferirmi se non
l’esperienza personale. Quando su Rai Tre a “Che tempo che fa” ho raccontato
l’esperienza dei gulag di Varlam Šalamov, quando ho raccontato la storia di Ken
Saro Wiwa, quando ho letto le poesie di Wisława Szymborska, quando ho parlato
di Anna Politkovskaja, incredibilmente, nei giorni successivi alla messa in
onda, i loro libri sono entrati in classifica. Questo è accaduto perché chi mi
ha ascoltato parlare dei gulag, della Russia di Putin, dell’impegno civile e
ambientalista di Ken Saro Wiwa in Nigeria, chi mi ha seguito nella lettura
delle poesie di Wisława Szymborska si è accorto quanto la letteratura, anche
quella che riteneva più inaccessibile, fosse in realtà a portata di mano,
vicina alle vite di ciascuno di noi. Si è accorto quanto uno scrittore, vissuto
un secolo fa, possa avere in comune con persone che vediamo attorno a noi ora.
Addirittura quanto possa avere in comune con noi stessi.
Ma la cosa più incredibile è stata questa:
chi mi ha ascoltato si è fidato di me. Ha pensato che io non avessi alcun
interesse personale a parlare di quel libro e che lo stessi facendo perché
davvero averlo letto mi aveva cambiato la vita. Chi mi ha ascoltato ha avuto
voglia di provare a cambiare, attraverso la lettura, anche la propria vita.
Ecco quindi che la televisione può fare moltissimo. Può essere generosa. Può
investire tempo, energie e denaro per raccontare ai telespettatori che, qualche
volta, spegnere il televisore e prendere un libro può essere un meraviglioso
regalo da fare a se stessi. Per i social network il discorso è analogo.
Scrivere la recensione a un libro e diffonderla su Facebook, su un blog o
attraverso Twitter è un atto dovuto, perché sono ormai luoghi virtuali dove si
trascorre parecchio tempo e anche da lì possono arrivare suggestioni
importantissime. Eppure sempre ci sarà il critico idiota che vede nella tv solo
aberrazione, l’intellettuale rancoroso che trova qualità solo se il libro è in
mano a pochi. Se queste persone avranno seguito, allora sarà giustificato quel
sentimento di irreparabilità che il rapporto Nielsen suscita.
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