da: Corriere della Sera
Mezza riforma non è ancora una riforma.
Specie se l’altra metà dipende dal Senato, la fossa dei leoni. Il vizio
dell’Italicum è che alleva due Dracula che si vampirizzano a vicenda. Perché il
maggioritario vale soltanto per la Camera, mentre il Senato rimane ostaggio
d’un proporzionale puro. Siccome tuttavia, qui e oggi, c’è ancora un
bicameralismo perfetto, questa trovata ci lasciaa mani vuote. È la nostra
dannazione: l’Italicum reclama la riforma del Senato, che reclama la riforma
del Titolo V della Costituzione. Un gioco di scatole cinesi, con il rischio di
rompere le scatole.
Mezza riforma non è ancora una riforma.
Specie se l’altra metà dipende dal Senato, la fossa dei leoni. Anche la Camera,
però, si è rivelata un nido di serpenti. Ne sanno qualcosa le nostre camerate,
sconfitte dai camerati maschi con un voto segreto. Volevano la parità,
addirittura il 50% dei seggi; hanno ottenuto lo zero tagliato. Da qui la prima
lezione che ci impartisce la vicenda: non chiedere il paradiso in terra,
altrimenti brucerai all’inferno. Contentati di soggiornare in purgatorio. Vale
in politica come nella vita.
Ma vale altresì per la legittimità
costituzionale delle quote, che rifiuta meccanismi troppo rigidi. Si possono
favorire, non imporre. O semmai imporre fino a un terzo, come stabiliva la
legge elettorale del 1993. Poi la Consulta ne fece carta straccia, ma allora
non c’era il nuovo art. 51 della Costituzione, che per l’appunto tende a
«promuovere» le pari opportunità. E promuovere significa spingere, aiutare.
Perciò è incostituzionale il paradiso della
parità assoluta, ma lo è pure l’inferno della prepotenza maschilista. Adesso
speriamo che il Senato ci conduca in purgatorio. E la Costituzione? Incarna la
damigella d’onore nel gran galà delle riforme, però nessuno se la fila. Male,
giacché il tribunale costituzionale ha appena fatto salsicce del Porcellum, e
ripetere il menù ci procurerebbe un indigesto. Per scongiurarlo, serve un
compromesso fra agibilità (politica) e legittimità (giuridica). D’altronde
anche quest’ultima corre fra due istanze contrapposte: rappresentanza e
governabilità. Puoi farne dimagrire una per ingrassare l’altra, ma non puoi
permettere a nessuna di diventare il Dracula dell’altra.
Ecco, è questo il vizio dell’Italicum:
alleva due Dracula che si vampirizzano a vicenda. Perché il maggioritario vale
soltanto per la Camera, mentre il Senato rimane ostaggio d’un proporzionale
puro. Siccome tuttavia, qui e oggi, c’è ancora un bicameralismo perfetto,
questa trovata ci lascia a mani vuote. Il sistema elettorale del Senato non
garantisce la maggiore rappresentatività del Parlamento, quello della Camera
non garantisce un governo chiavi in mano.
Dunque il risultato è irragionevole, di
più: sconclusionato. Ma la ragion politica (impedire elezioni a stretto giro)
ha avuto il sopravvento sulla ragion giuridica. Succede quasi sempre. Eppure la
legittimità potrebbe ottenere una rivalsa, se domani il Senato elettivo sparirà
dall’orizzonte. I giuristi conoscono da tempo la categoria
dell’incostituzionalità sopravvenuta; in questo caso dovranno forgiare la
costituzionalità sopravvenuta della legge. Dipende, ancora una volta, dal
Senato, dalla sua voglia di fare harakiri.
Ma prima di compiere questo supremo gesto
d’eroismo, gli saremmo grati d’alcuni aggiustamenti. Per esempio sulle
pluricandidature (8) e sui collegi (120, quindi 6 nomi sulle liste bloccate):
troppo. O sullo chemin de fer che regola le soglie di sbarramento, per le liste
e per le coalizioni (4,5-8-12). Domanda: che diavolo succede se la coalizione
raggiunge il numeretto, e però non lo raggiunge nessuna lista coalizzata? Urge
chiarimento, anzi emendamento. Ma un emendamento tira l’altro, come d’altronde
una legge tira l’altra. È la nostra dannazione: l’Italicum reclama la riforma
del Senato, che reclama la riforma del Titolo V. Un gioco di scatole cinesi,
con il rischio di rompere le scatole.
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