da: Il Fatto Quotidiano
Ma chi
li scrive i testi a Maria Elena Boschi? Si potrebbe capirla se fosse stata
colta alla sprovvista dalla domanda volante di un cronista da strada. Ma
l’altroieri rispondeva alla Camera a un’interrogazione del M5S sui cinque
membri del governo inquisiti, dunque si era preparata la risposta per tempo e
per iscritto, ufficialmente, a nome del governo e del premier Renzi. E se n’è
uscita con queste testuali parole: “Non è intenzione di questo governo chiedere
dimissioni di ministri o sottosegretari solo sulla base di un avviso di
garanzia, ma solo per problemi di
opportunità politica”.
E questo si era capito, anche perché tutti
e cinque gli inquisiti lo erano già prima di essere nominati ministri o
sottosegretari (uno, Bubbico, è già stato rinviato a giudizio e il suo processo
per abuso d’ufficio è in corso da tempo) e Renzi li ha voluti con sé ciò
malgrado, o forse proprio per questo. “L’avviso di garanzia – prosegue la
ministra – è un atto dovuto, non un’anticipazione di condanna”.
Detta così, pare che ogni cittadino abbia
diritto a ricevere almeno un avviso di garanzia. Qualcuno dovrebbe spiegare
alla ministra delle Riforme che quell’atto è dovuto agli indagati, non a tutti
i cittadini: per quanto possa apparirle strano, milioni di italiani non hanno
mai visto un avviso di garanzia e vivono benissimo
senza. Sono gli indagati
che, quando il pm deve compiere atti (interrogatori, perquisizioni, sequestri)
alla presenza del loro difensore, “avvisano” l’indagato perché ne nomini uno.
E, per essere indagati, occorre essere sospettati di aver commesso un reato:
altrimenti niente atto dovuto.
“All’esito del procedimento – conclude la
Boschi – il governo valuterà se chiedere le dimissioni del sottosegretario”.
Ora, è comprensibile che la giovane Boschi auguri lunga vita al suo governo: ma
per quanto lunga sia la durata del Renzi
I, sarà sempre inferiore a quella di un processo.
Dunque non
sarà questo governo a valutare l’esito dei processi ai suoi membri. Però
l’equivoco sotteso al lodo Boschi è più ampio e allarmante, visto che accomuna
nella stessa cultura malata i rottamatori trentenni e i rottamati ottuagenari.
Nessuno vuole abolire la presunzione di non
colpevolezza fino a condanna definitiva. Ma qui non si tratta di stabilire se
Lupi, Barracciu, Bubbico, De Filippo e Del Basso de Caro siano colpevoli o
innocenti: solo se sia opportuno che amministrino il Paese. Nessuno vuol
buttarli in galera: ma fuori dal governo sì. Così come in tutte le democrazie,
dove basta un sospetto (neppure un’indagine) perché l’interessato si dimetta da
qualunque carica pubblica. Salvo rientrare in politica una volta assolti.
Lunedì Formigoni
sghignazzava in tv sul suo processo per associazione a delinquere,
corruzione e favoreggiamento, e spiegava – spalleggiato dagli autorevoli
Velardi e Rondolino – che in Italia gli
inquisiti non devono dimettersi perché poi alcuni vengono assolti. Come se
all’estero tutti gli indagati venissero regolarmente condannati, per legge.
Forse questi gaglioffi non sanno che il
presidente tedesco si dimise per un sospetto prestito agevolato e l’altro
giorno è stato assolto. In Francia De Villepin rinunciò alle presidenziali
perché imputato nel caso Clearstream, poi fu assolto. Idem Strauss-Kahn
(violenza sessuale) e Sarkozy (l’affaire Bettencourt).
In più in
Italia c’è un libello chiamato Costituzione che all’art. 54 prescrive a chi
svolge pubbliche funzioni di esercitarle “con
disciplina e onore”. Che onore può vantare chi deve rispondere di un reato?
Dice bene la Boschi (capita persino a lei): le dimissioni si danno per
“opportunità politica”. Ma era politicamente opportuno infilare nel governo 5
indagati? Con quali criteri vengono selezionati i ministri e i loro vice? E da
quali elenchi vengono scelti: dai registri degl’indagati delle procure? Davvero
Renzi e i partiti che l’appoggiano (soprattutto il suo, con 4 indagati su 5)
non conoscono 62 incensurati tutti insieme? Ma che razza di gente frequentano?
E soprattutto: dove sarebbe la novità di Renzi rispetto agli altri?
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