da: Il
Fatto Quotidiano
Pavia, viaggio nella Las Vegas d’Italia. I giocatori:
“Ecco come ci riduce lo Stato”
Tremila euro di spesa procapite per il gioco contro i
1.200 di media nazionale. Li chiamano "apparecchi da divertimento e
intrattenimento", ma slot e vlt nella provincia lombarda sono diventate
un'emergenza sociale, spesso nascosta per vergogna. E c'è chi tenta il
suicidio, perde la casa e gli affetti
di Eleonora Bianchini
“Se penso a quanto ho
perso mi impicco”. Seduto su una sedia girevole, rossa e imbottita. Davanti la
slot. Una mano regge 150 euro di monete, l’altra schiaccia “start”. Due, tre,
decine di volte. Fino a che non arriva il “bonus”, scatta l’autoplay e la macchina
parte in loop e decreta vittorie e sconfitte. Da sola. A pochi passi da lui,
c’è un giocatore che mette 50 euro in un’altra mangiasoldi e in un attimo
li perde. Poi si alza, fa un giro al bar, torna con un superalcolico e
ricomincia daccapo. “Questo è un posto di merda, andate via. Guardate come ci
riduce lo Stato”. Mini casinò in provincia di Pavia, aperto 24 ore su 24. Ci
sono
anche biliardo, calcio balilla e karaoke. Famiglie con bimbi piccoli,
giovani, uomini di mezza età, casalinghe cinquantenni fresche di parrucchiere,
tanti italiani e qualche trentenne dell’Est Europa. Illuminati delle luci delle
slot, che sfumano volti e contorni, cambiano i contanti, riversano i soldi
nelle macchine e sperano di vincere. O meglio, di passare il tempo, perché tante
alternative, nella ricca e desolata provincia tra Po e Ticino, non ci
sono.
A Pavia slot e videolottery (vlt) – presenti solo in agenzie di scommesse o sale dedicate
e che consentono anche di giocare banconote di grosso taglio – hanno
regalato alla città il primato della Las Vegas d’Italia, dove la spesa
procapite per il gioco, vincite escluse, è di 3mila euro, contro i 1200 di
media nazionale. Un record che, secondo Agimeg (Agenzia giornalistica sul
mercato del gioco) stacca di oltre mille euro Como, Teramo e Rimini. Una città
di quasi 70mila abitanti con una slot ogni 104 e al primo posto anche per
livello di puntata massima (2900 euro).
I profitti – La
gente gioca, ma chi vince? Di certo Monopoli di Stato (attraverso
licenze e Preu, prelievo erariale unico) e concessionari, incassano somme
interessanti. Il settore del gioco nel suo complesso rappresenta il 4% del Pil.
Dunque, la terza “azienda” del Paese dopo Eni e Fiat. In Italia, secondo i dati
elaborati da Agipro (Agenzia stampa Gioco Pronostico e Scommesse) ci sono
372.467 new slot e 50.556 Vlt, per un totale di 423.023 apparecchi. In
totale nel 2013 sono finiti nelle macchine 48,5 miliardi di euro (-0,4%
rispetto ai 48,7 miliardi del 2012) e la spesa effettiva dei giocatori al netto
delle vincite è stata di 8,3 miliardi (-9,8% rispetto ai 9,2 miliardi del
2012), mentre l’erario ha incassato 4,32 miliardi. Secondo i Monopoli, nel 2013
l’erario ha guadagnato sulle slot 3,2 miliardi di euro, mentre 3 miliardi sono
andati alla filiera degli operatori. Nello stesso anno, per le vlt sono andati
allo Stato 1,1 miliardi di euro circa, mentre concessionari e gestori di sala
hanno incassato 1,4 miliardi. Complessivamente le casse pubbliche hanno
quindi messo in tasca il +4% rispetto ai 4,15 miliardi del 2012.
In sintesi,
dell’importo che finisce nelle slot (raccolta), il 74% finisce nelle tasche dei
giocatori, il 13,5% (che comprende il prelievo erariale unico sulle giocate del
12,7% e lo 0,8% del canone di concessione per utilizzo della rete 0,8%). Infine,
il 12,5% va alla filiera delle slot, composta da concessionari, gestori
che si occupano della manutenzione e distribuzione delle macchine, e i singoli
esercenti (bar, tabacchi) che hanno le macchine nei locali. In media, il 55%
degli utili va agli esercenti, il 38% ai gestori, il 7% ai concessionari. Per
quanto invece riguarda le vlt, l’89% va ai giocatori, il 5% allo Stato e il 6%
a gestori delle sale per il 55% e concessionari per il rimanente
(45%).
Sul fronte dei
giocatori, secondo quanto pubblicato sul sito dei Monopoli di Stato, per le
videolottery ”la normativa prevede la restituzione in vincita di una
percentuale minima pari all’85 per cento per ogni sistema di gioco e per ogni
gioco sul medesimo installato”. Il dato effettivo di restituzione in vincite
delle somme giocate ha raggiunto l’88,34% nel 2011 e a l’’88,40% nel 2012. Per
le slot, invece, la percentuale minima è fissata al 74 per cento. Tuttavia, si
legge sul sito dei Monopoli, “non è possibile indicare l’effettiva probabilità
di vincita di ogni apparecchio, che deve risultare non inferiore a quella
normativamente prevista”. Vero è che la somma che nel 2012 è rientrata nelle
tasche dei giocatori sotto forma di vincite (tra macchinette, lotterie, gratta
e vinci, lotto, superenalotto, giochi a base sportiva, poker e casinò online,
bingo e giochi a base ippica) è stata di 70 miliardi. Un dato suggestivo.
Ma, come scrive la Relazione annuale della Direzione nazionale antimafia (Dna)
2013, “deve essere però valutato nel contesto di un meccanismo che privilegia
pochissime persone con alte vincite”. Ed ecco perché i giocatori possono
perdere anche migliaia di euro. Ma dietro alle sconfitte c’è anche un altro
motivo.
Infiltrazioni mafiose – Alla problema della redistribuzione, si aggiunge infatti la criminalità
organizzata. Perché il gioco è un business in cui si accomodano i clan – oltre
40 – che così possono riciclare e investire “in maniera tranquilla,
elevatissime somme di denaro”. La Dna spiega che è anche nel “perimetro legale
del gioco” che avvengono le infiltrazioni, specie su slot e vlt. La procedura:
le cosche comprano e intestano le sale gioco ai suoi prestanome, sia per
ricavare guadagni immediati alterando le macchine, sia per il riciclaggio. Se
la macchina non è collegata alla rete telematica, la criminalità si accaparra
il Preu più le somme dovute a concessionario ed esercente. Nel caso invece il
software dell’apparecchio sia truccato “anche per abbattere la probabilità di
vincere del giocatore, l’importo va tutto all’organizzazione criminale”. E una
macchina così può fruttare anche mille euro a settimana. Importante ricordare
che, “benché per le vlt sia prevista la giocata massima di 10 euro, accettano
banconote di ogni taglio”. Anche da 500 euro. E i controlli? Complicati e
costosi. Già nel 2012 la Dna sottolineava che le cosche sottraggono a Monopoli
e concessionari importi difficili da intercettare.
Emergenza ludopatia – Tecnicamente li chiamano “apparecchi da divertimento e intrattenimento”,
ma slot e vlt sono diventate un’emergenza sociale, spesso nascosta per
vergogna. E il fenomeno della ludopatia – inserita tra gli stati patologici
oggetto di cura del Sistema sanitario nazionale dal decreto legge 158/2012 – è
in aumento. Per il dipartimento per le politiche Antidroga, nella relazione al
Parlamento sulle tossicodipendenze 2012, sono 300mila i giocatori compulsivi
già conclamati e nel 2011, quelli in cura, erano 4687, “di cui 82 per cento
maschi”. Secondo La Sapienza, oggi, sono 790mila quelli a
rischio. Inoltre, lo studio Ipsad del Cnr di Pisa
rileva che anche il numero di giocatrici sta aumentando. E sia le donne che gli
uomini finiscono davanti a slot e vlt per noia, solitudine e frustrazione.
“Giocano tutti, di
qualsiasi età e professione – spiega Simone Feder, psicologo
della Casa del giovane di Pavia e fondatore del Movimento No Slot,
contro il gioco d’azzardo - Donne,
uomini, pensionati, imprenditrici, carabinieri, banchieri. Entrare in sala
ed essere circondati da una varietà di genere ed estrazione sociale ricrea la
normalità che il giocatore cerca per giustificarsi. Ed è pericolosa”. Feder
racconta di famiglie che hanno perso “fino a 230mila euro, che si sono giocate
la casa, la famiglia, il lavoro. C’è chi ha tentato il suicidio”. E ancora
“anziani che non hanno mai avuto vizi e che iniziano a giocare”, racconta un
operatore della Casa del Giovane. “Ricordo uno psicologo che, per evitare danni
maggiori, accompagnava una signora a giocare perché lei non spendesse più di
cento euro”. Non solo. “A Pavia, appena ritirano la pensione, vedi le slot
imballate di gente”. E mogli che con un marito giocatore non possono
permettersi una maternità, bancomat requisiti dai parenti per necessità,
famiglie sul lastrico, prestiti sospetti e usurai alle calcagna.
Le slot ormai non sono
soltanto nei bar e in tabaccheria, “perché le trovi anche in latteria, in
erboristeria, dal benzinaio“. Feder ha avviato la campagna No Slot, affinché i
baristi lasciano il gioco d’azzardo fuori dalla porta. Un obiettivo per il
quale il Comune di Pavia ha stanziato 20mila euro, mille a testa per chi toglie
gli apparecchi dal locale. Una cifra che, però, “per molti esercenti è bassa –
dice Feder”. Al questionario sottoposto ai gestori per sondare l’interesse
della proposta, hanno risposto in 77 (su 136) e il 74 per cento di loro
vorrebbe almeno 4mila euro. Soltanto il 18 per cento, invece, ritiene giusto il
compenso proposto dall’amministrazione locale.
Ma per alcuni
giocatori c’è dell’altro. “Tanti gestori vogliono tenere le slot perché, quando
chiudono il bar, si attaccano alla macchinetta – spiegano – Tra loro ci sono
molti ludopatici”. E se i clienti sono ancora dentro quando la serranda si
abbassa, “nessuno li va a staccare dalla slot”. Ma l’incentivo del Comune, come
spiega Pasquale Cannella, che nel suo bar ha eliminato le slot “è segno del
cortocircuito dello Stato”. Che offre soldi agli esercenti per eliminare le
macchinette, ma allo stesso tempo le usa per battere cassa e incassare miliardi
di euro.
Rabbia contro lo Stato
– La Casa del giovane si occupa anche di prevenzione e nelle scuole spiega ai
ragazzi cos’è la ludopatia. “Pavia è la piccola Las Vegas d’Italia. Ma la
differenza è che se là si avvicinano con un bambino alla slot, arrestano i
genitori”, precisa Feder. Non è così nel nostro Paese, dove “tra i minori e le
macchine non c’è nessuna distanza. Sono al bar, in tabaccheria, nei centri
commerciali”. Non solo: i suoni e i colori ”ricalcano apposta quelli dei
videogame e playstation“. Così aumenta anche il rischio per gli adolescenti. E
“anche se dicono di avere meno di 18 anni, entrano nelle sale giochi senza
problemi. Ci sono papà che prendono in braccio i figli piccoli per fargli
spingere i pulsanti”. I ragazzi, continua lo psicologo, “vogliono sapere i sintomi,
come possono accorgersi se un genitore gioca. Si chiedono perché le banche non
facciano niente, perché non siano tempestive quando vedono i conti
prosciugati”. Dall’altra parte, i giocatori puntano il dito contro lo Stato
complice della loro dipendenza, “che non fa i controlli e che ci riduce così.
Ci ruba i soldi, perché questi che finiscono nel gioco non fanno girare
l’economia. La distruggono”. Stipendi riversati nelle slot, in pezzi da 500 o
in monetine da un euro. Ma c’è chi gioca e sente che la vita scivola via. “Cosa
ti toglie il gioco d’azzardo? Di solito, gli uomini dicono i soldi. Le donne,
gli affetti. La verità? Che chi è qui si sente solo”.
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