da: La Stampa
Il Cavaliere non è più Cavaliere. Si è
autosospeso, cioè è sceso da cavallo un attimo prima che la federazione
nazionale dei cavalieri (in Italia non ci facciamo mancare nulla) lo buttasse
giù. Non potendo ancora ignorarlo, si pone dunque il problema di come
chiamarlo.
L’abbreviazione Cav va in soffitta insieme
con la versione extralarge, per la disperazione dei paleo-giornalisti, quasi
tutti di sinistra, adoratori di Giuliano Ferrara, che quel nomignolo inventò
nel sostanziale disinteresse del resto della popolazione.
«Il Dottore» è l’appellativo con cui le
segretarie, i dipendenti, e tra essi soprattutto Arrigo Sacchi e Galliani, lo
hanno sempre evocato in azienda, ma fuori da lì suona banale e persino
allusivo, se si pensa a certi bunga bunga zeppi di giulive travestite da
infermiere. Ci sarebbe «Presidente», se non facesse riferimento a due entità in
crollo verticale di consensi: Forza Italia e il Milan: e poi è così che vengono
chiamati D’Alema e gli altri politici in pensione. «Il Berlusca» rimane il
soprannome più milanesoide e in fondo più vero, ma
sembra una foto ingiallita
degli Anni Ottanta. «Papi» suscita imbarazzo, «Love of my life» ilarità e in
ogni caso il primo è un’esclusiva delle para-minorenni e il secondo delle
igieniste dentali. «Silvio» ha un che di patetico e di eccessivamente
confidenziale.
Alla fine temo bisognerà rassegnarsi a
chiamare Berlusconi nell’unico modo che riesca ancora a identificarlo: il papà
di Matteo.
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