da: Il Fatto Quotidiano
L’istituto
Vaticano chiude molti conti, ma i soldi li spostano in Svizzera: estero su
estero
Un investigatore sotto garanzia di
anonimato la definisce così: “una delle più grandi operazioni di ripulitura del
denaro nero”. Centinaia di milioni di euro depositati sui conti dell’Istituto
Opere Religiose Ior, stanno uscendo in queste ore verso paesi esteri, anche a
bassa fiscalità e con scarsa trasparenza come la Svizzera, senza che il
Vaticano comunichi all’Italia i nomi dei correntisti (potenziali evasori se non
peggio) né la destinazione. Lo Ior sta ripulendo la sua clientela intimando a
1250 correntisti di lasciare la banca vaticana con una lettera di recesso unilaterale. Il
vento di pulizia di Papa Bergoglio però si ferma alle mura leonine. Il Vaticano
non ha intenzione di comunicare alle Dogane italiane i nomi degli ex
correntisti che escono da Porta Sant’Anna con una valigia piena di banconote né
hanno intenzione di comunicare dove finiscono i bonifici all’estero del saldo.
Così i flussi in partenza dal conto Ior alla Jp Morgan di Francoforte (dove Ior
ha trasferito la tesoreria da qualche anno) a un ipotetico paradiso fiscale,
restano invisibili ai radar di Uif e Procura. Mentre i giornali strombazzano il
nuovo corso dello Ior, il Vaticano pone una pietra tombale sui depositi
accumulati nei decenni passati Oltretevere a un anno dall’elezione di Papa
Francesco, e probabilmente all’insaputa del Pontefice.
LA BANCA D’ITALIA e la Procura di Roma
stanno cercando un sistema per intercettare questa fuga di capitali senza
controllo. Le norme internazionali impongono la collaborazione tra le Autorità
antiriciclaggio dei due Stati. L’Uif di Banca d’Italia ha chiesto all’Aif della
Santa Sede, guidata dallo svizzero Renè Brulhart, di avere accesso ai nomi dei
correntisti ‘cacciati’. L’atteggiamento dell’Aif è ambiguo. L’Autorità guidata
da Brulhart insieme al fido vicedirettore Tommaso Di Ruzza, genero dell’ex
Governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, non nega a priori la sua
collaborazione. Per esempio ha fornito il nominativo di un italiano con 8
milioni di euro. Ovviamente era un cittadino modello che aveva dichiarato tutto
nel quadro RW della sua dichiarazione dei redditi. La sensazione di essere
presi per il naso sta montando. Due settimane fa si è tenuto un incontro con il
Procuratore Capo Giuseppe Pignatone, il procuratore aggiunto Nello Rossi e i
vertici dell’Ufficio Informazione Finanziara della Banca d’Italia diretto da
Claudio Clemente. I pm Nello Rossi e Stefano Fava da anni si occupano dello Ior
e a seguito delle loro indagini a luglio 2013 si è dimesso il direttore Ior
Paolo Cipriani, sostituito da Rolando Marranci. La società di provenienza di
Marranci, l’americana Promontory è stata incaricata di effettuare lo screening
sui conti Ior. Sulla base di alcuni criteri di rischio ha indicato quelli da
chiudere. Il Vaticano però nega si tratti di soggetti ‘sospetti’. Nella
lettera inviata a settembre ai correntisti dal presiente dello Ior Ernst Von
Freyberg, la banca vaticana comunica che sono cambiate le “linee guida delle
relazioni” e che gli unici conti ammessi sono quelli “di istituzioni
cattoliche, ecclesiastici, dipendenti o ex dipendenti del Vaticano titolari di
conti per stipendi e pensioni nonché diplomatici accreditati presso la Santa
Sede”. Tutti gli altri fuori. Insomma la ragione del recesso non sarebbe il
sospetto ma un cambiamento di politica aziendale. Per esempio i conti dell’ex
Gentiluomo di Sua Santità Angelo Balducci o della Fondazione Cardinale Spellman
sul cartellino del quale era apposto anche il nome di Giulio Andreotti, se
per pura ipotesi astratta fossero ancora aperti, sarebbero da chiudere solo per
questa regola generale.
Dopo avere ricevuto la lettera in questi
giorni centinaia di italiani stanno ritirando centinaia di milioni di euro
dallo Ior nel cuore di Roma senza che il fisco, l’UIf e la Procura possano
metterci il naso. Sono due le modalità offerte per ‘agevolare la chiusura’: la
consegna in contanti nel torrione di Niccolò V o il bonifico sul conto indicato
dal cliente. Nel primo caso dovrebbe essere il cliente a dichiarare alla Dogana
italiana l’importo prelevato allo Ior in contante. Ma non lo fa quasi nessuno.
Nel secondo caso è sufficiente chiedere allo Ior di bonificare la somma su
un conto estero, magari in un paese che non collabora con le autorità italiane,
per vedere sparire per sempre dai radar del fisco le ricchezze. I bonifici
avvengono di fatto estero su estero. Non dal Vaticano ma dalla Germania.
Purtroppo per le autorità italiane da qualche anno i soldi dello Ior non sono
fisicamente nelle banche italiane ma presso la filiale di Francoforte della Jp
Morgan. Se i conti ‘calderone’ della tesoreria Ior, all’interno dei quale sono
confusi i sottoconti riferibili ai singoli correntisti dello Ior, fossero
ancora accesi all’Unicredit, il fisco italiano potrebbe entrare in partita. Se,
per ipotesi, dal suo conto Ior un evasore italiano trasferisse milioni di
euro in Svizzera, il direttore dell’agenzia Unicredit segnalerebbe l’operazione
sospetta all’Uif. In Germania non è detto che avvenga. La sensazione è che i
buoi siano già usciti nel 2011-2012.
A RIVEDERLA oggi la fuga dei soldi dello
Ior che un tempo erano depositati nelle banche italiane, raccontata dal Fatto
(‘Ior, fuga di capitali verso la Germania. Svuotati i conti italiani’, 6
settembre 2013) sembra la prima fase di una stangata. Non era una reazione
stizzita per l’aumento dei controlli dei pm ma la prima mossa verso lo scacco
finale: ripulire lo IOR nascondendo per sempre all’Italia gli intestatari dei
conti.
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