da: La
Stampa
L’altra sera in
televisione è accaduto qualcosa di inedito. Un premier apparentemente di
sinistra, ma di sicuro installato da elettori di sinistra al vertice del
principale partito della sinistra, attaccava i sindacati su una rete di
sinistra, tra gli applausi incontenibili del pubblico in studio. Ascoltati dal
retropalco, quegli applausi erano ancora più impressionanti: molti spettatori
battevano addirittura i piedi. E non si trattava di una feroce setta di capitalisti
o del fan club di Brunetta, ma di persone normali che avevano appena chiesto
l’autografo a Sorrentino e un’ora dopo si sarebbero messe in coda col
telefonino per farsi immortalare accanto alla Littizzetto. La cordiale ostilità verso i sindacalisti ricorda quella verso i giornalisti, gli uni e gli altri assimilati ai politici per varie ragioni.
Intanto perché li frequentano assiduamente, al punto che talvolta diventano politici anche loro. E poi
perché, a torto o a ragione, vengono considerati collusi col potere anziché suoi fieri contraltari.
La difesa dei
garantiti ha tolto autorevolezza ai sindacati, vissuti dalle fasce sofferenti
della popolazione come una forza conservatrice e ostile al merito, in nome di
un concetto asettico di uguaglianza che finisce sempre per deprimere i più
volenterosi. L’altro applauso, domenica sera, Renzi lo ha incassato quando ha
detto che i cassintegrati andrebbero
impiegati nelle biblioteche. A
qualcuno sembrerà incredibile, ma a molti italiani persino un cassintegrato
sembra un privilegiato. E la Cgil - come Confindustria, del resto - un simbolo
dell’ancien régime che ha arrugginito il Paese.
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