da: la Repubblica
Riforma fiscale, una e per
sempre
di
Stefano Micossi
Il Governo ha indicato tra i suoi obiettivi
prioritari quello della riforma fiscale, una scelta certamente apprezzabile.
Sarebbe un peccato se l’esigenza di muovere in fretta con i primi interventi
facesse perdere di vista quella di avviare, con l’occasione, un riordino
complessivo del sistema dei tributi, dopo oltre un decennio di interventi
convulsi dettati dall’emergenza finanziaria, che hanno reso il sistema opaco,
orribilmente complicato, distorsivo e imprevedibile.
Per non perdere la strada, si deve guardare
agli obiettivi: l’economia e la società italiana hanno bisogno di un sistema
tributario semplice, trasparente, prevedibile, che riequilibri i carichi,
spostandoli dalle persone alle cose e alleggerendo l’impresa e il lavoro; di un
sistema neutrale, non distorsivo negli effetti economici, che privilegi il
risparmio e l’investimento.
Più che a redistribuire, occorre puntare a
facilitare la creazione di nuovo reddito; per l’Irpef è più importante
allargare la base imponibile che rafforzare
la progressività, già fin troppo
ripida (l’aliquota sul primo scaglione è del 23 per cento, sopra i 75.000 euro
del 43). L’aumento del gettito deve venire dalla crescita, invece che da una
tassazione sempre più oppressiva sui redditi medi e medio-alti. Non c’è scampo:
deve crescere il gettito dell’Iva e devono diminuire le imposte dirette
sull’impresa e sul lavoro. Per l’Iva, si tratta di ridurre (gradualmente) il sistema
a due sole aliquote (dell’11 e del 22 per cento); occorrerà prevedere, per i
redditi più bassi, forme di compensazione erogate direttamente dall’Inps o
corrisposte attraverso un’imposta negativa sul reddito (che può assumere anche
valenza più generale).
C’è poi un lavoro di disboscamento delle
cosiddette tax expenditures, che nel nostro paese hanno raggiunto valori
enormi, e dei sussidi alle imprese. A fronte di questi aumenti di prelievo, è
urgente ridurre il cuneo fiscale, direi più tagliando permanentemente i
contributi sociali che l’Irap (che è una minimum tax creata principalmente in
sostituzione dei contributi sanitari: se si vuol cancellare l’Irap, si deve
trasferire sulle famiglie un peso maggiore per il finanziamento della sanità).
Fondi significativi, oltre al maggior prelievo dell’Iva, devono venire dalla
spending review, che il nuovo governo sembra voler fare sul serio. Per sgravare
anche il lavoro, si deve rendere permanente l’aliquota ridotta sugli incrementi
salariali legati ad accordi aziendali che migliorano la produttività,
ampliandone gli ammontari di applicazione. Le aliquote speciali introdotte
negli ultimi anni per banche, assicurazioni e aziende petrolifere dovrebbero
essere eliminate, magari prima che lo faccia la Corte costituzionale. I frutti
del capitale dovrebbero essere tassati con aliquota uniforme e definitiva, da
applicarsi agli interessi a qualunque titolo percepiti (titoli di stato
inclusi), come agli affitti (non è buona l’idea che circola di abbassare
selettivamente l’aliquota sostitutiva per speciali categorie, il trasferimento
del beneficio agli affittuari sarebbe incerto). L’aliquota dovrebbe convergere
con quella Ires sui redditi d’impresa, direi intorno al 23 per cento, per
quelle esigenze di neutralità cui facevo riferimento. Per i dividendi e gli
utili distribuiti, si dovrà riflettere sull’opportunità di ampliarne la quota
detassata, perché la somma del prelievo sugli utili d’impresa e sul dividendo è
troppo elevata e scoraggia l’investimento. L’aumento della tassazione sui
titoli di stato sarebbe ininfluente sui rendimenti, dato il basso livello cui
questi oggi si collocano.
La semplificazione del sistema richiede
anche di intervenire con decisione su deduzioni, detrazioni e crediti
d’imposta, che potrebbero essere fissati in un plafond unico, per le famiglie
(in cifra fissa, senza sotto categorie) come per le imprese (in percentuale del
fatturato, in relazione ai soli obiettivi di capitalizzazione e spese di
ricerca e innovazione). Le deduzioni per gli ammortamenti dovrebbero essere
quelle appostate nel bilancio civilistico, così come già fatto per l’Irap. Ci
sono poi gli interventi già previsti dalla legge delega per ridare certezza al
rapporto tributario (in particolare dando confini definiti al cosiddetto abuso
di diritto) e riportare a ragionevolezza il sistema sanzionatorio, largamente
fondato sull’applicazione di sanzioni penali anche in assenza di frode, laddove
la contestazione superi determinate soglie quantitative (identificate in valore
assoluto, indipendentemente dalle dimensioni e dalla redditività dell’impresa).
Le degenerazioni di questi istituti, peraltro, hanno una causa ben
identificata: la pratica di attribuire all’agenzia delle entrate obiettivi di
gettito, che ha condotto a continui e discutibili adattamenti delle
interpretazioni applicative. Infine, per fare tutto questo bisognerà pur
trovare un metodo di decisione parlamentare diverso dal negoziato in
commissione bilancio su singole misure, con i lobbisti scatenati fuori dalla
porta.
Serve una delega con pochi chiari principi,
quindi i decreti delegati a pacchetto chiuso. Con l’impegno, poi, a una
prolungata tregua normativa, che escluda tra l’altro la possibilità di
rimettere mano al sistema tributario ad ogni legge di stabilità.
Nessun commento:
Posta un commento