Le argomentazioni di
Ricolfi sono pertinenti e logiche. Ma si fondano su un presupposto che non è
assolutamente certo. Che in caso di diminuzione dell’Irap le imprese utilizzino
quei soldi per gli investimenti. Dove sta scritta ‘sta roba? Chi lo garantisce?
A parte il piccolo
particolare che, qualora anche le imprese investissero, incrementassero la
produzione, non è detto che crescano i consumi. Se non ho soldi, non spendo.
Ma ammesso e non
concesso che investimenti = maggiore produzione = vendite = entrate per le
aziende e per il fisco, chi glielo assicura a Ricolfi che le imprese rimettano
in circolazione i soldi derivanti da minor peso fiscale.
Nessuno. Ergo. I soldi
iniziamo a darli anche se, come giustamente osserva Ricolfi, a una certa fascia
di lavoratori garantiti. Tra i quali, magari, ci sono coloro che garantiscono
sostegno e aiuto a figli precari e a genitori anziani.
I posti di lavoro non
si creano con la sola dimunuzione dell’Irap, ma con un insieme di norme
organiche tra le quali: il pagamento dello Stato alle imprese, l’accesso al
credito agevolato per chi fa ricerca e presenta piani industriali di
investimento, ecc…ecc..
da: La
Stampa
Luca Ricolfi Irpef o Irap una scelta rivelatrice
Irpef o Irap? I dieci miliardi di sgravi fiscali promessi
da Renzi devono andare ai lavoratori o alle imprese?
Mai dilemma di
politica economica fu più falso e fuorviante di questo. Intanto perché
l’abbassamento dell’Irpef - al quale secondo le ultime voci sarebbe
orientato
il premier - non riguarderebbe affatto «i lavoratori», che sono oltre 22
milioni, ma una parte dei lavoratori dipendenti; e in secondo luogo perché
l’abbassamento dell’Irap non riguarderebbe «le imprese», quanto l’insieme ben
più vasto dei lavoratori autonomi soggetti a Irap, che sono quasi 5 milioni di
persone.
Cominciamo quindi con
il dire una prima verità: se, come
pare, lo sgravio sarà tutto
concentrato su un’imposta, e non spalmato su entrambe, la scelta reale di Renzi non è fra lavoratori e imprese, ma semmai fra due
gruppi di lavoratori.
Ma è l’unica scelta?
Ed è la scelta più importante?
Secondo me no. A mio
parere, la frattura sociale
fondamentale, in Italia, non è fra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi.
La frattura fondamentale è fra garantiti
e non garantiti. O, se preferite, fra società delle tutele e società del
rischio. Da una parte dipendenti pubblici e dipendenti delle grandi imprese, la
cui condizione poggia su un sistema di garanzie relativamente solido e
sostanzialmente stabile.
Dall’altra lavoratori
autonomi, operai e impiegati delle piccole imprese, disoccupati, precari,
lavoratori in nero, giovani e donne alla ricerca di un’occupazione, che nuotano
nel vasto oceano del rischio perché la loro condizione è drammaticamente
soggetta ai capricci del mercato e le tutele di cui godono sono minime. Questi
sono i due mondi che si intrecciano in Italia, talvolta all’interno della
medesima famiglia. Ora, rispetto a questa frattura, l’alternativa fra sgravi
Irpef e Irap è assolutamente cruciale.
Gli sgravi Irpef incidono sui risparmi e
sui consumi di una decina di milioni di lavoratori dipendenti, ma lasciano del
tutto invariata la condizione di chi è lavoratore autonomo o non ha
un’occupazione. Gli sgravi Irap,
invece, oltre a incidere sui risparmi e sui consumi di circa 5 milioni di
lavoratori indipendenti, esercitano un effetto di entità non trascurabile sul
tasso di crescita e sull’occupazione. Alleggerendo i conti delle aziende,
infatti, gli sgravi Irap riducono il rischio di chiusura e aumentano le
possibilità di creare nuovi posti di lavoro.
La differenza di fondo
fra le due strade, fra mettere 10 miliardi sull’Irpef e metterli sull’Irap, è
che nel primo caso (Irpef) si fornisce un sollievo
a una parte di coloro che un reddito
già ce l’hanno, mentre nel secondo caso si dà una chance anche a chi non ha alcun reddito. In poche parole, gli
sgravi Irap possono avere qualche effetto non solo nella società delle
garanzie, ma anche in quella del rischio.
Tradizionalmente la politica, specie a sinistra, ha
sempre avuto un occhio di riguardo per il mondo dei garantiti, specie
dipendenti pubblici e operai delle grandi fabbriche, e ha prestato ben poca
attenzione a quello dei non garantiti, e in particolare di giovani, donne,
disoccupati, precari e lavoratori in nero. E’ per questo che, quando spuntano
fuori delle «risorse», il riflesso condizionato di un pò tutte le forze politiche,
e massimamente quello delle organizzazioni sindacali, è di convogliare tali
risorse verso i propri iscritti o i propri elettori, che tendenzialmente
costituiscono porzioni più o meno ampie e ben definite del mondo dei garantiti.
E’ naturale: ognuno cerca di proteggere i suoi, e i non garantiti sono tali
proprio perché non hanno alcuno che li protegga e ne difenda le buone ragioni.
Ecco perché, molto
giustamente, tanti studiosi e tanti osservatori dicono che, in Italia, non solo
la destra ma anche la sinistra è conservatrice. Ed ecco perché, da qualche
tempo, ci si augura che almeno la sinistra abbandoni la sua attitudine
conservatrice e provi a fare la sinistra, difendendo innanzitutto i veri
deboli.
Avrà Matteo Renzi il
coraggio di puntare, per la prima volta nella storia della sinistra nell’Italia
repubblicana, sul mondo dei non garantiti?
O preferirà la solita
strada, quella di dare un contentino a un segmento dei garantiti?
Lo vedremo domani,
quando verrà presentato il Jobs Act. Nel frattempo possiamo solo rallegrarci di
una cosa: dopo che il premier avrà fatto la sua scelta definitiva, noi
cittadini ne sapremo molto di più sul premier stesso. Perché la scelta
Irpef-Irap è una cartina al tornasole perfetta, capace di dirci se – con Renzi
– la sinistra ha davvero cambiato verso, diventando più moderna e attenta
all’interesse generale, o se essa continua ad essere ostaggio dei poteri di
sempre, che ne hanno fatto una delle forze più conservatrici del Paese.
Nessun commento:
Posta un commento